Benessere

Cosa vuoi mangiare tra venticinque anni?

di
Maria Cristina Righi
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Cosa mangeremo tra venticinque anni? Cosa ci sarà nei piatti del futuro? Insetti, alimenti sintetici e industriali? Tra fantasie e rivoluzioni, si delineano più scenari, ma la nostra dieta dovrà cambiare profondamente. Sappiamo che entro meno di trent’anni abiteranno due miliardi di esseri umani in più sulla Terra, un pianeta in fase di riscaldamento globale, con i raccolti a rischio, il suolo impoverito da trattamenti chimici e l’acqua che potrebbe scarseggiare.

 

Frédéric Wallet, economista, ricercatore in Francia presso l’istituto nazionale per l’agricoltura, l’alimentazione e l’ambiente, autore di Manger Demain (Mangiare domani) non crede ci aspettino le vertical farm ad alta tecnologia dove le coltivazioni, sotto i led, non dipendono dal sole e quindi dalle stagioni. Ma nemmeno la carne sintetica, prodotta in laboratorio. Gli allevamenti verticali come la carne sintetica richiedono molta energia. Le verdure che crescono lentamente come i porri, o occupano spazio come l’insalata, non possono essere coltivate.

 

La carne sintetica è estremamente costosa da produrre: oggi una bistecca sintetica di 5 mm di spessore costa 46 euro. Gli animalisti scommettono comunque sul successo di questa carne cellulare, anche perché secondo la FAO, con l’aumento della popolazione, anche il consumo di carne dovrebbe aumentare di un terzo entro il 2030. In più gli allevamenti rappresentano il 18% delle emissioni di gas serra e il 30% dell’uso del suolo in tutto il mondo. Il ricercatore crede invece molto negli insetti ad alto tasso proteico (75%), soprattutto per l’alimentazione degli animali.

 

Secondo Frédéric Wallet il futuro privilegerà anche le alghe e i prodotti a base di soia fermentata. «Dagli anni Cinquanta si è passati alla modalità industriale– spiega il ricercatore –. Prodotti sempre più ultra-lavorati (sono l’80% nei supermercati), economici, ricchi di zuccheri e poveri di fibre e minerali, che hanno fatto raddoppiare il tasso di obesità della popolazione. Anche i costi ambientali sono enormi: un prodotto percorre in media 3.350 km prima di arrivare nei nostri piatti. Un terzo del traffico stradale è dovuto al nostro cibo, così come un quarto delle emissioni di CO2».

 

Il cibo spazzatura poi porta conseguenze drammatiche per la biodiversità, per i terreni e per la salute. «Dobbiamo coltivare il nostro orto – scrive ancora Frédéric Wallet – E tornare alla stagionalità. Diventare consapevoli dell’impatto del cibo sul pianeta. La filiera deve essere più corta e abbiamo anche bisogno di mangiare meno carne, perché la maggior parte viene da allevamenti in condizioni poco dignitose, da animali alimentati con cereali che contribuiscono alla deforestazione dell’Amazzonia e che occupano il 40% della terra».

 

«Ritroviamo la diversità: oggi la nostra dieta si basa solo su 12 piante e 5 specie animali invece delle 73 varietà di qualche decennio fa – prosegue Wallet – . Prima degli anni Cinquanta la maggior parte delle proteine proveniva dai legumi, non dalla carne. Dobbiamo riscoprire l’uso delle lenticchie e degli altri legumi, soprattutto perché fissano l’azoto nel terreno e sono fonte di molti benefici per la biodiversità. Oggi rappresentano solo l’1% del nostro apporto proteico. Hanno quindi un enorme potenziale di sviluppo e su questo stanno lavorando tutti i laboratori dell’agroindustria».

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