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Chiamalo col suo (nuovo) nome

La proposta: classificare i tumori sulla base delle loro caratteristiche molecolari e non secondo l’organo colpito

20/02/2024 - di Maurizio Maria Fossati
tumori

Non ha più senso legare il nome di un cancro a quello dell’organo colpito in quanto la causa determinante di un tumore è la mutazione genetica che, come è stato accertato, può comparire identica anche in organi diversi. Ma allora i tumori dovrebbero cambiare nome ed essere “battezzati” esclusivamente in base alla genetica? Pare proprio di sì secondo un articolo pubblicato sulla rivista Nature da un gruppo di ricercatori del centro oncologico francese GustaveRoussy: «Classificare i tumori sulla base delle loro caratteristiche molecolari aiuterebbe anche a identificare rapidamente le terapie più efficaci».

 

Parere condiviso anche da Alberto Bardelli, direttore scientifico dell’Istituto Fondazione di Oncologia Molecolare di Milano (Ifom) e professore all’Università di Torino: «L’idea che il cancro sia una malattia molecolare è ormai condivisa da tutti. Gli oncogeni, per esempio, cioè quei geni che contengono l’informazione per proteine capaci d’indurre la trasformazione maligna di una cellula, sono la prima evidenza di caratteristiche che travalicano i convenzionali confini tra tumori. Dal momento, quindi, che la classificazione dei tumori è ormai basata su criteri molecolari, non ha più senso etichettarli con il nome degli organi nei quali si manifestano».

 

La maggiore capacità di studiare il profilo del paziente e del tumore oggi ci permette di disporre di informazioni di tipo genetico e molecolare che consentono di offrire terapie più mirate e personalizzate. Per esempio, in alcuni tumori frequenti come quello alla mammella e al polmone, l’analisi dell’espressione di alcune alterazioni genetiche, consente di sottodividere i casi in decine di sottogruppi ciascuno dei quali può ricevere una terapia più personalizzata di quanto fossimo in grado di fare solo pochi anni fa. Accanto alla chirurgia, alla chemioterapia e alla radioterapia, oggi abbiamo nuovi farmaci target a bersaglio molecolare in grado di colpire e distruggere selettivamente le molecole malate, e farmaci immunoterapici, studiati per stimolare l’azione del sistema immunitario.

 

Oggi dal tumore si può guarire e ìn tantissimi casi si riesce a cronicizzare la malattia, cioè a bloccarne la crescita, a “congelarla”, permettendo ai pazienti di vivere a lungo e con una buona qualità della vita. Resta indubbio che la costante ricerca della migliore appropriatezza della cura richiede tali e tante competenze diverse da rendere necessario l’impiego di gruppi multidisciplinari di specialisti. E “multidisciplinarietà” è la parola chiave nella ricerca della cura migliore. Nei centri oncologici di riferimento, oggi l’oncologo lavora gomito a gomito col chirurgo, col genetista, col radiologo, con l’anestesista, lo psicologo e il bioingegnere. Ed è proprio il bioinformatico uno degli specialisti che più preme sull’acceleratore delle applicazioni terapeutiche. È lui infatti che attraverso l’elaborazione dei dati riesce a interpretare i risultati delle analisi sulle cellule tumorali.

 

L’analisi del DNA del tessuto tumorale può presentare innumerevoli variazioni genetiche. Ebbene il bioinformatico è l’esperto che può indicare al clinico quali di queste mutazioni sono rilevanti e quali invece rivestono un aspetto secondario, permettendo così di conoscere meglio le caratteristiche molecolari del tumore e quindi di curarlo con la migliore appropriatezza. Secondo i ricercatori dell’Ifom. «sarà anche necessario formare una nuova classe di medici. Ed è proprio con questo obiettivo che è nato il programma Physician Scientist, che vede convolto l’Ifom insieme a Fondazione Airc per la Ricerca sul Cancro, Università di Milano, Istituto Nazionale dei Tumori, Ospedale Niguarda e Istituto Europeo di Oncologia (Ieo). Un programma disegnato per offrire ai futuri medici la possibilità di una formazione più completa».