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Cancro disarmato grazie ai test genomici

L’analisi molecolare perfeziona la terapia nelle pazienti con tumore al seno HER2+

20/03/2022

Individuato il primo test genomico che consente di definire il miglior trattamento nelle pazienti con tumore della mammella in stadio iniziale. Si rivolge in particolare ai casi che presentano iperespressione di una proteina (HER2) e in base a uno specifico punteggio consente di stabilire con precisione la prognosi nelle donne sottoposte a terapia neoadiuvante prima dell’intervento chirurgico e assegna un valore predittivo, ovvero indica le probabilità di ottenere la cancellazione del tumore a livello mammario e linfonodale.

 

Questo test si rivela utile sotto vari punti di vista: esclude il rischio di somministrare trattamenti in eccesso, con conseguenti tossicità, oppure terapie troppo blande, se la malattia risulta aggressiva. Inoltre sono evidenti anche i risparmi nei bilanci della spesa sanitaria, perché si evitano cure inappropriate. Il test è stato sviluppato e brevettato congiuntamente dalle Università di Padova e dall’Università di Barcellona ed è stato studiato su più di mille pazienti, come dimostrato da studi pubblicati su riviste del gruppo The Lancet.

 

Artefici della ricerca sono, tra gli altri, il professor Pierfranco Conte, presidente di Fondazione Periplo, Valentina Guarneri, direttore dell’Oncologia 2 all’Istituto Oncologico Veneto e professore ordinario all’Università di Padova. Con loro figurano, tra gli autori, Aleix Prat (August Pi i Sunyer Biomedical Research Institute, Barcellona) e Charles M. Perou (University of North Carolina, Chapel Hill, USA). Ogni anno in Italia circa 55mila persone sono colpite da tumore della mammella, il 15% (8250) sono caratterizzate da iperespressione della proteina HER2. Nei tumori HER2 positivi – spiega il professor Conte – la crescita delle cellule tumorali è dovuta alla stimolazione di questo recettore, che è presente in sovrabbondanza, causando così una crescita rapida e incontrollata delle cellule malate.

 

Dal punto di vista biologico, è una delle forme più aggressive e, in passato, non essendoci farmaci efficaci, queste pazienti erano caratterizzate dalla prognosi peggiore. Oggi invece, grazie alla disponibilità di terapie mirate che interferiscono specificamente bloccando il recettore HER2, il decorso clinico è cambiato radicalmente. Il primo anticorpo monoclonale anti HER2, che ha rivoluzionato la storia della malattia, è stato trastuzumab, a cui sono seguite numerose altre terapie, ad esempio anticorpi monoclonali che veicolano farmaci citotossici molto potenti come trastuzumab emtansine, oppure inibitori tirosin chisanici o farmaci chemioterapici associati alle molecole anti HER2. La presenza di numerose alternative terapeutiche richiede nuovi strumenti per supportare i clinici nella scelta della terapia più efficace evitando sovra o sottotrattamenti».

 

«I parametri tradizionali utilizzati dagli oncologi sono costituiti dalle dimensioni del tumore, dallo stato dei linfonodi ascellari e dei recettori ormonali – afferma il prof. Conte –. Si tratta di criteri molto utili, ma non permettono di individuare con sufficiente precisione alcune pazienti che rischiano di ricevere trattamenti superiori o inferiori al necessario. Il test genomico denominato HER2DX risponde quindi a un bisogno clinico ancora insoddisfatto perché, a oggi, non vi sono strumenti per definire, nelle forme HER2 positive, il beneficio
delle terapie mirate e il rischio di recidiva».

 

Indagine Senonetwork

Sono ancora troppe le differenze sul territorio per accedere gratuitamente ai test genomici, in grado di evitare chemioterapie inappropriate nelle donne con tumore della mammella in fase iniziale. Oggi come oggi un centro di senologia su quattro risulta impossibilitato a prescrivere gratuitamente questi esami, e solo due ospedali su quattro hanno organizzato un iter di rimborso dei test genomici con regole precise. Una situazione a macchia di leopardo che può essere definitivamente sbloccata con l’inserimento di queste analisi molecolari nei lea (livelli essenziali di assistenza), ritenuto una priorità assoluta dalla stragrande maggioranza degli operatori sanitari. Sono i principali risultati del sondaggio realizzato da Senonetwork.

 

Nonostante il ritardo accumulato, anche in Italia si sta sviluppando tra i clinici la consapevolezza dell’importanza di queste analisi, ha affermato Rossana Berardi, consigliere dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom) nonché presidente di Women for Oncology (W4O Italy). Dall’indagine emerge infatti che i test genomici sono entrati a pieno titolo nella pratica clinica quotidiana. La maggioranza dei casi di tumore della mammella è di tipo luminale, cioè esprime i recettori estrogenici ma non la proteina HER2. Dopo la chirurgia, il trattamento sistemico prevede l’utilizzo della terapia ormonale nei casi considerati a basso rischio oppure l’aggiunta della chemioterapia adiuvante alla terapia ormonale, in presenza di un rischio elevato. Nella malattia luminale a rischio intermedio, sussiste però una significativa incertezza terapeutica, da qui, riferisce ancora la professoressa Berardi, l’importanza dei test di profilazione genomica, che permettono di identificare con maggiore precisione le pazienti che possono beneficiare della chemioterapia dopo l’intervento.