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Cancro al seno, in Lombardia diecimila nuovi casi ogni anno

Giuseppe Curigliano, Istituto Europeo di Oncologia: nove volte su dieci sono tumori presi in fase iniziale: oggi c'è una nuova opportunità terapeutica

24/01/2024 - di A.M.
mammografia

Il carcinoma mammario è oggi il tumore femminile più diagnosticato nel nostro Paese; i programmi di screening permettono di effettuare sempre più spesso la diagnosi nei primi stadi di malattia, quando il tumore è circoscritto, operabile e non metastatico. Quando possiamo parlare di Early Breast Cancer (EBC) o tumore al seno in fase iniziale? Giuseppe Curigliano, professore ordinario di oncologia medica all’Università di Milano, direttore Divisione Sviluppo Nuovi Farmaci per Terapie Innovative Istituto Europeo di Oncologia (IEO), affronta qui un tema particolarmente sentito.

“Il tumore al seno in fase iniziale è qualsiasi tumore che non ha dato metastasi negli organi a distanza, vale a dire che la malattia è limitata alla mammella e, al massimo, ai linfonodi loco-regionali che sono gli ascellari della catena mammaria interna e sovra-claveari”.

Qual è il percorso che si trovano ad affrontare le pazienti con EBC? Quali sono le forme di malattia a più alto rischio di recidiva e perché sono così definite?

“In genere quando si fa diagnosi di tumore al seno questa può essere conseguente a una autopalpazione, per cui la donna stessa si accorge di avere un nodulo mammario e quindi si rivolge ad un medico, di solito il chirurgo o l’oncologo, per essere sottoposta ad una serie di accertamenti, oppure la diagnosi può essere conseguente ad uno screening mammografico. I tumori diagnosticati attraverso lo screening mammografico sono quelli che si identificano nel corso dei programmi di screening nazionali, che prevedono l’utilizzo e l’esecuzione di una mammografia in genere ogni due anni e ogni anno nelle donne a più alto rischio”.

La diagnosi genera in primo luogo una forte emozione e preoccupazione, con la necessità di rivolgersi ad uno specialista; in questo caso la raccomandazione è che le donne si rivolgano a Centri dove sono attive delle Breast Unit, questo consente alle pazienti di avere una presa in carico totale, e quindi di pianificare un preciso percorso diagnostico-terapeutico assistenziale.

“Il primo step consiste nell’eseguire una biopsia del riscontro del nodulo per autopalpazione o per mammografia, con una piccola anestesia locale si prelevano frammenti di tumore che ci consente di fare una diagnosi e a questo punto sulla base della diagnosi certa verrà impostato il programma terapeutico che può essere chirurgico come primo atto o, in alcuni tumori, trattamento pre-operatorio che può consistere in una chemioterapia più immunoterapia se si tratta di un tumore triplo negativo oppure una chemioterapia più farmaci biologici diretti contro un recettore che si chiama HER2, o ancora chemioterapia da sola. Il programma viene definito sulla base della estensione locale della malattia ma soprattutto della biologia”.

“Esistono tre tipi di tumore da prendere in considerazione: tumori endocrino responsivi, tumori triplo negativi e tumori HER2+. Nel contesto dei tumori allo stadio precoce ce ne sono alcuni che possono avere un più alto rischio di recidiva e in questo caso i più frequenti sono quelli di tipo endocrino responsivi. Un tumore ad alto rischio si definisce come un tumore che a seguito di una chirurgia o a seguito di una terapia pre-operatoria e successiva chirurgia, ancora presenta delle caratteristiche che lo rendono potenzialmente a rischio di recidiva”.

“Le caratteristiche da considerare sono: il coinvolgimento linfonodale, vale a dire la presenza di linfonodi positivi, per esempio, quelli più a rischio hanno più di 4 linfonodi metastatici al momento della chirurgia oppure quelli che hanno un tumore più grande di 5 centimetri oppure quelli che hanno un grado più alto e 1-3 linfonodi colpiti. Questo significa che biologia insieme a interessamento linfonodale costituiscono entrambi, in aggiunta alle dimensioni del tumore primitivo, un fattore di rischio di recidiva, soprattutto per i tumori endocrino responsivi, che sono quelli più frequenti rappresentando il 70% dei tumori mammari. Nella malattia triplo negativa ed HER2+ i fattori di rischio sono la dimensione del tumore e l’interessamento linfonodale, ma c’è anche un terzo fattore di rischio, vale a dire la presenza di malattia residua dopo un terapia pre-operatoria al momento dell’intervento chirurgico”.

Quali sono i numeri del tumore al seno in generale, e in particolare dell’EBC, nella sua Regione? Relativamente al Centro di riferimento da Lei diretto, professor Curigliano, come è organizzata la presa in carico delle pazienti con EBC e quante pazienti seguite? Ci sono servizi dedicati?

“A livello nazionale i tumori mammari diagnosticati nel 2022 sono stati 55.700, di cui nella regione Lombardia circa 10.000; di questi il 90% è diagnosticato in fase iniziale. Quindi, la maggioranza dei casi viene diagnosticato per fortuna allo stadio precoce. Il nostro Centro ha una Breast Unit accreditata da EUSOMA, ente di accreditamento europeo per le Breast Unit. La paziente segue un percorso diagnostico-terapeutico ben definito. Una volta che viene completata la mammografia e l’ecografia e viene fatta la diagnosi, la paziente è in automatico inserita in questo percorso diagnostico-terapeutico che prevede la biopsia per definire l’istotipo, a questo punto il caso clinico viene discusso in un contesto multidisciplinare, quello che si chiama consulto multidisciplinare di senologia e viene definito se la paziente deve fare un trattamento pre-operatorio o se deve essere sottoposta direttamente all’intervento chirurgico”.

“Nel momento in cui la paziente completa o l’atto chirurgico o il trattamento sistemico pre-operatorio e poi l’atto chirurgico, si discute di nuovo il caso per quella che sarà l’indicazione terapeutica. Ogni anno nel nostro Istituto vengono operate dalla 3.000 alle 3.500 donne con tumore al seno, un numero enorme, per cui il nostro è il più grosso Centro europeo per numero di tumori della mammella; tant’è vero che per 4 anni consecutivi lo IEO è risultato il primo Cancer Center in Italia come prestigio e come reputazione e il 12° nel mondo (classifica stilata da Newsweek)”.

“Abbiamo un’area completamente dedicata dove vengono prese in carico tutte le donne con tumore mammario ma anche quelle con tumori del tratto ginecologico. Abbiamo un intero percorso ‘rosa’ nell’Istituto dove viene garantito alle donne un servizio di psiconcologia e terapie complementari che prevedono l’intervento di nutrizionisti e di esperti di approcci complementari come quello dell’agopuntura. Da questo punto di vista c’è moltissima sensibilità da parte di tutti gli operatori sanitari e le donne vengono seguite per tutta la vita”.

Dopo oltre 20 anni di attesa, finalmente assistiamo a sostanziali miglioramenti clinici nella terapia adiuvante del tumore al seno in fase iniziale.

Professor Curigliano, che cosa significa, per voi specialisti, avere a disposizione una nuova opportunità terapeutica come abemaciclib per trattare le pazienti con diagnosi di tumore al seno HR+/HER2- ad alto rischio?

“Significa tanto perché l’unica risorsa terapeutica che avevamo per le donne con malattia endocrino responsiva HER2 negativa era semplicemente la chemioterapia e quindi, dopo la chemio, sapevamo che queste donne considerate ad alto rischio non avevano ulteriori opportunità terapeutiche”.

Per quanto tempo e con quale modalità viene somministrato abemaciclib? Quali sono le evidenze di efficacia nel tempo, in particolare per quanto riguarda la riduzione del rischio di recidiva e di metastasi? E quali sono i risultati in termini di maneggevolezza e tollerabilità?

“Abemaciclib viene somministrato alla dose di 150 mg due volte al giorno per bocca e per due anni in concomitanza alla terapia ormonale. In passato queste donne seguivano solo la terapia ormonale per cinque anni, da quando è disponibile abemaciclib viene dato insieme alla terapia ormonale per i primi due anni continuativamente. I recenti dati presentati all’ESMO (European Society for Medical Oncology) confermano, con un follow up mediano di 4 anni e mezzo, che l’utilizzo di abemaciclib per 2 anni in combinazione alla terapia endocrina per ha dimostrato una riduzione del rischio di recidiva del 32%. Molto più interessante è il rischio di eventi a distanza (metastasi) ridotto del 32.5%. Non abbiamo ancora dati di sopravvivenza seppure il numero di pazienti decedute sia inferiore nel braccio con abemaciclib. È un dato molto importante che offre alle nostre pazienti un’ulteriore opportunità terapeutica e che ci può garantire un intervallo libero da malattia sicuramente più significativo rispetto al passato. Quello che aspettiamo di questi studi sono i dati di sopravvivenza che speriamo di avere nei prossimi anni. Il farmaco ha una buona maneggevolezza, l’effetto collaterale più frequente di questa terapia è la diarrea che si può verificare in maniera severa in una piccola percentuale di pazienti e la stanchezza e alla fine una riduzione dei globuli bianchi. Però abbiamo la possibilità di gestire questi eventi avversi. La diarrea, se segnalata precocemente, (per questo la paziente deve essere informata in modo adeguato su questo rischio e riferire prima possibile al medico la comparsa dell’evento avverso), con una adeguata terapia anti-diarroica viene controllata nella maggior parte dei casi garantendo il prosieguo e la completa aderenza al trattamento. Anche gli altri due effetti collaterali sono gestibili con opportuni trattamenti”.