Giacomin
Un compromesso di realismo. Il nuovo Patto di stabilità e crescita approvato dai 27 Paesi che partecipano all’Ecofin, manda in archivio il vecchio accordo siglato trent’anni fa e ribattezzato patto di stupidità per la incapacità di adattarsi alle esigenze dell’economia reale di norme sulle quali, però, è stata costruita l’Unione europea che conosciamo. È la fine dell’austerità? No, non del tutto almeno. Ma è un passo avanti decisivo perché ai Paesi ad alto debito viene lasciato un po’ di ossigeno per gli investimenti e messa meno fretta nel percorso di aggiustamento dei conti pubblici. Non mancheranno le ombre, lo ha sottolineato lo stesso ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, giudicando il nuovo patto "sostenibile" per il nostro Paese. L’Italia poteva ottenere di più? No, non ne avremmo avuto la forza, soprattutto perché il peso del nostro debito pubblico avrebbe mostrato facimente il fianco ai professionisti del rigore.
Il testo della Commissione era, probabilmente, più favorevole, tanto da mettere in allerta i cosiddetti Paesi frugali che hanno spinto in direzione ostinata e contraria. Il risultato è, appunto, un compromesso realistico. Da non disprezzare, affatto, specie se consentirà di consolidare nel Dna europeo quell’attenzione all’economia imposta dall’emergenza Covid. Sul piano interno, il nuovo Patto di stabilità ha tre impatti: 1) il governo ha detto che continuerà la battaglia per ottenere maggiore favore per gli investimenti. Nel frattempo, però, le nuove regole sottoscritte andranno rispettate; 2) Nuove regole danno ossigeno ma non cancellano la zavorra del debito pubblico italiano. Spending review e riforme rimarranno a lungo nell’agenda di chi governa. E dei mercati; 3) L’approvazione del nuovo Patto di stabilità avvicina oggettivamente la ratifica del Mes. Salvo sorprese.