Domenica 8 Dicembre 2024
BRUNO VESPA
Politica

L’analisi del dopo voto. Meloni è ancora più forte. E la sinistra perde le staffe

Le elezioni perse in Liguria sono un rigore sbagliato a porta vuota. La critica a tutto campo alla manovra toglie all’opposizione margini d’intervento.

L’analisi del dopo voto. Meloni è ancora più forte. E la sinistra perde le staffe

Giorgia Meloni, 47 anni, presidente del Consiglio e leader di Fratelli d’Italia

Undici vittorie su dodici elezioni regionali e in province autonome nei due anni del governo Meloni non garantiscono certo che andrà sempre così, ma sono un segnale importante. Accadde a sinistra in passato, oggi tocca alla destra, domani chissà.

Ma si rafforza per la maggioranza quel consenso in capo alla presidente del Consiglio che l’ultimo numero dell’Economist rileva doppio di quello di Macron e di Scholz.

L’Italia resta tuttavia spaccata in due. Non è abituale che il presidente della Repubblica rimproveri le agenzie di rating perché sottovalutano la crescita economica dell’Italia che unisce alla solidità politica (la virtù più preziosa) una crescita post Covid superiore a quella di Francia e Germania, uno spread basso e sotto controllo, un tasso di occupazione mai raggiunto dai tempi di Garibaldi (copyright Meloni). E colpisce che nelle stesse ore la Cgil e la Uil abbiano proclamato per il 29 novembre uno sciopero generale.

C’è qualcosa che non funziona. Come tutte le leggi di bilancio, anche quella appena approdata alle Camere e alla Commissione europea può essere migliorata. Ma si ha la netta sensazione che Maurizio Landini, da quindici anni segretario del maggiore sindacato italiano, sia diventato progressivamente soprattutto un punto di riferimento politico, assicurando all’opposizione una preziosa stampella popolare. Rispettabile, ma incomprensibile l’appiattimento della Uil sulla Cgil. Quando nel 1976 il leader socialista De Martino disse che mai sarebbe andato al governo senza i comunisti, gli elettori pensarono che fosse meglio l’originale della copia, votarono per Berlinguer e lui cedette il posto a Craxi.

La critica a tutto campo della manovra finisce con l’irrigidire la maggioranza senza dare all’opposizione margini ragionevoli d’intervento. Ma qual è oggi l’opposizione? Salvo alcune rarissime eccezioni per Renzi e Calenda, essa resta compatta nel votare contro il governo. Ma è rosa all’interno da un mal sottile che la rende in prospettiva molto fragile. La sconfitta di Genova pesa.

La magistratura aveva liberato la porta di centrodestra di ogni possibile difesa e il centrosinistra ha sbagliato il rigore. Non sappiamo se avrebbe vinto con l’aiuto di Renzi, indigesto sia a larga parte del Pd che ai 5 Stelle. Ma il 4 per cento riportato dal partito di Conte nella terra di Grillo (astenuto) lascia terreno a chi, obbedendo a Marco Travaglio, vorrebbe lasciare il campo fino alla vigilia delle prossime elezioni politiche, eliminando ulteriori umiliazioni alle regionali e magari facendo perdere Schlein, indebolendola al momento della trattativa per la campagna elettorale del 2027.

Vedremo come andrà in Umbria, dove gli ultimi sondaggi danno la presidente uscente Tesei in vantaggio netto (l’Emilia-Romagna è un fortino), ma il nervosismo a sinistra è un pessimo segnale per una equilibrata discussione anche sulla manovra di bilancio.