Sabato 2 Novembre 2024
RAFFAELE
Politica

La rivoluzione non resti sulla carta

Il governo Draghi ha avviato una riforma tributaria per trasformare il rapporto tra cittadini e fisco, passando da un modello coercitivo a uno basato su diritti e doveri. Grazie a un lavoro accurato, la riforma è stata completata con successo, ma resta da vedere se avrà effetti concreti.

Marmo

attrazione fatale di una parte della sinistra per le tasse, con annesse vessazioni fiscali, ha radici e ragioni ideologiche talmente radicate nella sua constituency che basta anche solo parlare di fisco "amico" per suscitare riflessi pavloviani da giustizialismo tributario d’antan. Ora, lasciamo anche stare l’avviso della premier ("Non dirò mai che le tasse sono una cosa bellissima"), per fare il controcanto all’analoga e opposta formula usata qualche decennio fa dall’ex ministro dell’Economia di Prodi, Tommaso Padoa-Schioppa, che addirittura ricorse al superlativo ("Sono bellissime").

Il punto è la sostanza. Ebbene, dopo oltre cinquant’anni dall’ultimo riassetto fiscale complessivo, il governo Draghi, nell’ambito degli interventi strutturali legati al Pnrr, decise di mettere mano anche alla riforma tributaria. La fine anticipata di quell’esecutivo con tutti dentro, salvo Fratelli d’Italia, impedì che l’operazione andasse avanti.

Giorgia Meloni, che pure si era opposta a quell’impianto, una volta a Palazzo Chigi, ha ripreso la via della revisione del complesso sistema fiscale non a spot o con misure a pioggia legate a questa o a quella emergenza, ma raccogliendo, almeno come obiettivo, l’eredità dell’ex banchiere centrale suo predecessore.

Grazie anche alla regia accorta di un politico di Fratelli d’Italia, esperto del settore, come il viceministro Maurizio Leo, in meno di due anni si è riusciti a condurre in porto la riforma tributaria anche con tutti o quasi i decreti attuativi approvati. Già solo questo è un risultato di rilievo. Ma se poi guardiamo all’impostazione di merito delle nuove regole, il passaggio epocale non è da meno: dall’idea del cittadino-suddito delle tasse e di uno Stato-esattore occhiuto, ma spessissimo senza costrutto, si passa a quella del cittadino-contribuente non solo con doveri, ma anche con diritti da poter far valere nei confronti di un Erario con il quale si può anche poter interloquire. C’è solo da augurarsi, semmai, che la rivoluzione non resti solo sulla carta.