
Il presidente della Repubblica agli ambasciatori. "Nel mondo troppo settarismo nazionalistico". E sul Medio Oriente ribadisce quanto detto ad Abu Mazen: la soluzione? Uno Stato palestinese.
Non era pensato come un discorso di quelli con la D maiuscola. Quando ieri il presidente della Repubblica si è rivolto al corpo diplomatico, aprendo la diciassettesima conferenza delle ambasciatrici e degli ambasciatori d’Italia, non aveva in mente uno di quegli interventi che sul Colle definiscono ’importanti’. Ne ha in programma due in questo scorcio di mese: uno oggi ai vertici istituzionali, l’altro a fine anno per tutti gli italiani. Lì alla Farnesina, a fianco del ministro degli Esteri Antonio Tajani, intendeva solo sottolineare, anche a prezzo di alcune forzature, la continuità della politica estera di questo governo con quella tradizionale della Repubblica. Tanto da elogiare il Piano Mattei "sfida di grande portata che valorizza il contributo italiano allo sviluppo del continente africano".
A far apparire le sue parole sferzanti sono le circostanze. Dice Sergio Mattarella: "La stabilità di un posizionamento la rinveniamo nei principi definiti dalla Costituzione agli articoli 10 e 11, che ben conosciamo. Diritto d’asilo per lo straniero cui venga impedito nel suo paese l’esercizio delle libertà democratiche, ripudio della guerra e perseguimento di pace". Impossibile non pensare ai muri alzati per la protezione umanitaria dei profughi siriani e, soprattutto, alla frase urlata domenica da Giorgia Meloni nel corso del comizio con cui ha concluso Atreju: "I centri in Albania funzioneranno, dovessi passarci ogni notte da qui alla fine del governo". Quindi, il capo dello Stato sottolinea come per attuare le due norme è legittima la rinuncia a porzioni di sovranità. Di qui nasce l’integrazione europea, "le convenzioni internazionali e le corti di giustizia che ne sono derivate". Ma è proprio una decisione della corte di giustizia del Lussemburgo che costringe Giorgia a fare le nottatacce in bianco per far decollare quei centri in Albania che al momento sono solo un resort per agenti in ozio. Ed è la corte dell’Aja che ha emesso un mandato di cattura per il premier Benjamin Netanyahu, che ha irritato Matteo Salvini.
C’è un ulteriore passaggio che suona polemico probabilmente più di quanto non fosse nelle intenzioni del presidente quando, segnalando i rischi di un capitalismo selvaggio, che si muove fuori di ogni controllo e tende a farsi parte politica, avverte: "Non è la prima volta nella storia che gli Stati vengono messi in discussione nella loro capacità di perseguire e garantire gli interessi dei popoli e quindi dei loro cittadini. Tema che appare di rinnovata attualità a fronte di operatori internazionali svincolati da ogni patria, la cui potenza finanziaria supera oggi quella di stati di media dimensione, e la cui gestione di servizi essenziali sfiora, sovente, una condizione monopolistica".
Capita che nessun operatore sia paragonabile su questo piano al nuovo amico e alleato della premier, ovvero Elon Musk. Non si trattiene Mattarella sospira: "Siamo di fronte al paradosso di una società globale sempre più interconnessa e interdipendente che attraversa una fase in cui si affacciano nuovamente, con ricette stantie, le sirene del settarismo nazionalistico, etnico quando non arbitrariamente religioso".
In realtà il vero punto focale del discorso riguardava le crisi in corso, la guerra in Medio Oriente e quella in Ucraina.
Sulla Palestina, come aveva già fatto dopo l’incontro con il presidente Abu Mazen, Mattarella è esplicito: "Va ribadito fermamente che per la Repubblica italiana l’autentica prospettiva di futuro risiede nella soluzione a due stati. È un obiettivo privo di alternative". È la linea del governo, ribadita ieri da Giorgia Meloni in un messaggio proprio alla conferenza degli ambasciatori, che lei oggi replicherà in Parlamento nell’intervento in vista del Consiglio europeo.
La differenza è di accenti, ma non è precisamente un elemento secondario. Dove invece la convergenza è piena è sull’Ucraina: per tutta la prima parte del discorso, Mattarella esalta il ruolo oggi un po’ in ombra della diplomazia. Dice che la pace a Kiev richiede il contributo di tutti, ma "soprattutto delle potenze globali". Nel frattempo, "l’Ucraina potrà contare sul nostro convinto sostegno militare, economico, diplomatico e umanitario". È la stessa posizione dell’esecutivo, ma come sia possibile conciliare simili obiettivi con la diplomazia è un mistero.
A Palazzo Chigi il discorso agli ambasciatori lo prendono senza scomporsi: "Qualche punzecchiatura è inevitabile". Ma se c’è un po’ d’inquietudine è per l’intervento che Mattarella farà questo pomeriggio alle alte cariche dello Stato (prima della cena con la premier e mezzo governo), per lo scambio di auguri di fine anno: lì la musica potrebbe essere diversa.