Martedì 30 Aprile 2024

Di Maio non molla: il premier sarò io

"Conta la volontà popolare, noi il primo partito". No a esecutivi tecnici Salvini-Di Maio, è rottura sulla premiership

Luigi Di Maio (Ansa)

Luigi Di Maio (Ansa)

Roma, 28 marzo 2018 - «Non mi impunto per una questione personale, ma conta la volontà popolare. Oltre il 32% degli italiani ha votato il M5S e il sottoscritto come premier». Luigi Di Maio è netto: o il premier sono io, o nessuno. Un segnale forte ed esplicito a Matteo Salvini dopo il suo mezzo passo indietro sulla premiership.

Salvini-Di Maio, è rottura sulla premiership

Il fuoco lo ha aperto in realtà di prima mattina il luogotenente più strategico del leader M5S, Alfonso Bonafede: «Il governo non si può fare se non sarà fatto premier Luigi Di Maio. Il voto dei cittadini va rispettato». E, di seguito: «Il reddito di cittadinanza si farà, senza se e senza ma». Il meglio, però, arriva all’ultimo: «Con Berlusconi non ci potrà mai essere un accordo, Di Maio non farà mai il Nazareno». Parole «definitive», all’apparenza, ma frutto di una tattica ben precisa dei 5 Stelle che stanno cercando di restare al centro della trattativa.

Proprio mentre Bonafede parlava, Di Maio era al telefono con Salvini, ennesimo contatto di una girandola di messaggi e di chiamate che dura ormai da giorni.

C’è un nodo, però, che incastra un dialogo che anche sui temi economici più delicati trova punti di sostanziale convergenza: si chiama Forza Italia. O meglio: si chiama Silvio Berlusconi. È il problema che mette in stand-by qualsiasi formulazione sullo schema di governo. I 5 Stelle non reggerebbero «mai» un esecutivo con dentro gli azzurri. O almeno quella parte di azzurri che da sempre è lo stretto entourage del Cavaliere.

La declinazione sul «no» secco a Forza Italia non si ferma solo all’ex premier, ma alla «squadra del Nazareno», quindi include anche Matteo Renzi di cui, però, il Pd sembra essersi «liberato – si sostiene dentro il Movimento – e comunque non è più segretario».

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I numeri però parlano chiaro. E il timore, unito al malumore, che si respira giorno dopo giorno nei neo gruppi parlamentari stellati è palpabile, mentre militanti e simpatizzanti si esprimono a valanga contro quello che è già stato definito il «Grillusconi».

Un’onda di protesta alla base della risolutezza di Di Maio nel non cedere sulla leadership del prossimo governo. Tenendo duro su questo fronte, spera di disarticolare la Lega dall’alleanza, e rivendicare il maggior peso del gruppo parlamentare nelle alchimie di Palazzo Chigi. Argomento che, abbracciando l’intera coalizione di centrodestra, verrebbe meno.

Per questo la posizione resta netta: «Il premier deve essere espressione della volontà popolare – sostiene Di Maio –, è una questione di credibilità della democrazia. Se qualcuno vuole tornare al passato creando governi istituzionali, tecnici, di scopo o peggio ancora dei perdenti, lo dica subito davanti al popolo italiano. Il 4 marzo gli italiani hanno deciso inequivocabilmente per un governo di cambiamento. È finita l’epoca dei governi non votati da nessuno».

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E parlando nell’assemblea dei deputati, ha fissato ancora più netto i suoi paletti: «Non ci presteremo al gioco di portare a Palazzo Chigi gente che non si è mai vista in campagna elettorale. Sarebbe l’ennesimo tradimento».

È questo il mantra ripetuto dal capo politico dei 5 Stelle all’omologo in camicia verde. Sul quale ha mandato in avanscoperta i due dioscuri che lo scortano come ombre, Bonafede e Riccardo Fraccaro («Aperti a tutti, ma non riabilitiamo Berlusconi»), non ottenendo però risposte chiare. Prima dell’inizio delle consultazioni ci sarà un incontro de visu e non solo con il leader leghista, ma «con tutte le forze politiche», a partire già da stamattina: «L’obiettivo è vedere chi è interessato a risolvere i problemi degli italiani e chi invece passa il tempo a pensare alle beghe interne dei partiti o delle coalizioni. Mi aspetto responsabilità da parte di tutti».

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