Domenica 6 Ottobre 2024
LUCA SCARLINI
Magazine

Tutto su Rothko: il colore e i travagli del vivere

A Parigi una retrospettiva sul maestro di origine lettone. Dall’alienazione metropolitana ai dipinti in serie, alla ricerca dell’essenziale

Tutto su Rothko:   il colore e i travagli del vivere

Tutto su Rothko: il colore e i travagli del vivere

Mark Rothko cercava l’essenzialità, in un gesto della pittura che fosse sempre più parco e sacrale: un atto che descriveva benissimo nei suoi pensieri, da poco pubblicati da Abscondita a cura di Alessandra Salvini. Una grande retrospettiva, che termina il prossimo 2 aprile, a cura di Suzanne Pagé e Christopher Rothko, con la collaborazione di François Michaud, negli aggressivi spazi parigini della Fondation Vuitton, creazione di Frank Gehry, mette insieme per la prima volta 115 opere, permettendo di vedere da vicino tutto l’itinerario dell’artista. L’ordine è rigorosamente cronologico: si inizia con le prime produzioni dell’artista lettone (al secolo Markus Yakovlevich Rothkowitz), emigrato negli Stati Uniti con il padre nel 1910, all’età di sette anni. La serie è sempre l’interesse maggiore dell’artista, quindi in una serie di ritratti (con il magnifico autoritratto di gioventù, dalla tonalità esplosivamente espressionista), compare la prima sequenza, quella delle immagini della underground. Visioni di alienazione, di squallore metropolitano, con persone sperdute nella adamantina durezza della città. Sembra che queste opere, a lungo rimosse, siano state di ispirazione per un celebre quadro realista di Norman Tooker del 1950, visione dell’orrore moderno, dal titolo The Subway.

La produzione seguente è segnata dalla folgorazione per il surrealismo, arrivato a New York a metà anni ’30. Le figurazioni sono semplificate al massimo: una materia che ha dell’animale e del vegetale incarna per l’artista Antigone o un inquietante Idolo arcaico. Dalla fine degli anni ’40 la serie prende di nuovo il sopravvento e definitivamente: una serie di rettangoli, di diversa intensità cromatica vengono siglati con un numero. Rothko non vuole più titoli: l’operazione diventa clamorosamente l’argomento della sua ricerca. A coloro che lo criticano dicendo che è ripetitivo, o che nelle sue opere trionfa sempre la serenità, in un’epoca che amava le contorsioni esistenziali, risponde: "In ogni centimetro di queste tele ho compresso tutta la violenza del mondo".

La fama arriva lentamente negli anni ’60, quando si lega d’amicizia a William Congdon e a Toti Scialoja. Due le serie che lo segnalano: l’architetto Mies van der Rohe lo vuole per il ristorante “Four Seasons“ del Seagram Building a New York, una esperienza travagliata, ma di straordinario impatto artistico. Al termine della sua vita e della sua opera, la meravigliosa Rothko Chapel, creata a Houston nel Texas, per due collezionisti francesi, da lungo tempo in contatto con l’artista, John e Dominique de Menil.

L’approdo di questo luogo aconfessionale, ricostruito nella mostra, è estremo, lo spazio ottagonale, è segnato da pitture scurissime, che molti interpretano come nere, ma che recano dentro molti colori, che si fondono nell’immagine di uno spazio di grande quiete e meditazione. Questa ultima realizzazione, si concluse poco prima che l’artista si togliesse la vita. L’impatto fu forte: nel 1971 Morton Feldman compose il magnifico Rothko Chapel, per soprano, contralto, doppio coro e tre strumenti. La mostra parigina, affollatissima, è l’occasione per incontrare uno degli appuntamenti centrali della ricerca estetica del dopoguerra, una produzione segnata dal desiderio di trovare una forma compiuta, coerente, che potesse dare conto di tutti i travagli del vivere.