Venerdì 26 Luglio 2024
STEFANO MARCHETTI
Magazine

Tutto Munari, l’inventore della fantasia

Una mostra antologica celebra il genio di uno dei più grandi designer, grafici e artisti del Novecento. "Un po’ Leonardo, un po’ Peter Pan"

Tutto Munari, l’inventore della fantasia

Tutto Munari, l’inventore della fantasia

"La rivoluzione va fatta senza che nessuno se ne accorga", ricordava Bruno Munari (1907 - 1998), fra i più grandi designer, grafici e artisti del ‘900, "Quello delle Macchine inutili del 1930", scriveva di sé in alcune lapidarie note autobiografiche, o "Quello del Portacenere cubico del 1957 / Quello dei Laboratori per bambini al museo del 1977 / Quello delle rose nell’insalata / Quello premiato col Compasso d’Oro, con una menzione onorevole dall’Accademia delle Scienze di New York", e via dicendo. La sua rivoluzione, Munari l’ha fatta con la fantasia – che è stata la sua bandiera – e con una creatività inesauribile, unita sempre a un pizzico di ironia: Leonardo e Peter Pan nella stessa persona, come lo ha ribattezzato il critico Pierre Restany. "Potremmo definirlo un inventore, ma sarebbe riduttivo. Potremmo classificarlo fra i pensatori, ma escluderemmo tutto l’aspetto pratico della sua attività. E allora, non possiamo che chiamarlo genio", esordisce Marco Meneguzzo che con Stefano Roffi cura Tutto, la grande antologica che da oggi al 30 giugno riunisce più di 250 opere di Bruno Munari nella villa dei capolavori della Fondazione Magnani Rocca a Mamiano di Traversetolo, nella pianura parmense.

Tutto è un titolo provocatorio ma non troppo, "perché Munari, davvero, si è occupato di tutto, attraversando i territori delle diverse arti e dei diversi linguaggi – sottolinea Meneguzzo –. Nei suoi anni è stato anche criticato per questo suo eclettismo mentre oggi, nella nostra società liquida, la sua flessibilità lo rende una figura tanto più attuale". La mostra si apre con le prime prove di Munari, il suo approccio al futurismo già dal 1927, la Buccia di Eva, grande tela del 1929 riemersa da una collezione privata, e le prime Macchine inutili che ondeggiano sospese, alla maniera dei Mobiles di Calder. Poi il percorso abbandona la cronologia e si muove per temi, esplorando il metodo di Bruno Munari, il suo modo di “vedere“ le cose del mondo. E di farle rivivere.

Munari amava "sperimentare il limite", ovvero andare oltre i confini delle convenzioni e guardare gli oggetti con occhi diversi. Un libro poteva essere un libro anche se gli si toglievano le parole e lo si lasciava con le pagine vuote: se poi si infilava una piuma all’interno diventava un oggetto da scoprire, capace di incantare i bambini e di appassionarli. Una forchetta diventava “parlante“ se si piegavano i suoi rebbi come se fossero le dita di una mano: c’era la forchetta dell’autostop, la forchetta per chiedere permesso, la forchetta per indicare qualcosa... E da una fotografia mossa sul piano di una fotocopiatrice poteva nascere una Xerografia originale, un’opera unica e sorprendente, realizzata grazie a una macchina che invece di solito “sfornava“ multipli tutti uguali. Spiazzamento, ribaltamento... Munari amava anche sfidare le dimensioni: un foglio di cartoncino, piatto e liscio, poteva trasformarsi in una scultura tridimensionale, bastava solo piegarlo, e la lampada tubolare Falkland si chiudeva a soffietto diventando “sottile“ come un disco a 33 giri. Il suo tocco estroso, Munari l’ha applicato in mille settori, nella grafica, nella pubblicità, nell’illustrazione. Nel suo tutto, Munari ha saputo anche giocare col tempo e annullarlo, come nel Tempo libero, l’orologio realizzato nel 1995 per la Swatch, con i numeri delle ore sparsi nel quadrante. "Alla base c’era sempre il senso di un mondo senza fratture, un mondo armonico", aggiunge Meneguzzo.

Nelle sale di Villa Magnani Rocca rivediamo tanti degli oggetti iconici di Munari, i Negativi positivi, gli studi per le poltrone, la scimmietta Zizì (in filo di rame e gommapiuma) che fu giocattolo amatissimo, e molte delle sue creazioni per i bambini realizzate con un peculiare intuito pedagogico. Anche ai piccoli Munari insegnava che nelle cose possono nascondersi altre cose. Il suo Abitacolo era una struttura in metallo ideata per le camerette dei ragazzi: era appositamente essenziale, spoglia e grigia perché veniva affidata alla creatività di ogni bimbo che poteva “vestirla“ come voleva. Così quella specie di scaffale di ferro diventava il suo piccolo mondo e apriva la mente. Con fantasia.