Mercoledì 24 Aprile 2024

L’utopia di Christa, una Cassandra incompresa

Dieci anni fa moriva la Wolf, scrittrice dissidente della Germania Est. L’attualità di una donna che credeva nella forza innovatrice della parola

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di Lorenzo Guadagnucci

"Il passato non è morto; non è nemmeno passato. Ce ne stacchiamo e agiamo come se ci fosse estraneo": nel folgorante incipit di Trama d’infanzia, uscito a Berlino Est nel 1976, Christa Wolf anticipava il suo pensiero non convenzionale sulla storia tedesca e sul destino della Germania, all’epoca divisa in due. Wolf, in quel libro, scavava nel passato suo e della sua famiglia, affrontando il tabù più tabù della Germania socialista: le radici naziste dei “nuovi” cittadini democratici; l’attitudine opportunistica che aveva accompagnato in tutta la vecchia Germania l’ascesa hitleriana e non poteva essere dimenticata, come invece si faceva nella Ddr, gonfia di retorica sulla Repubblica democratica fondata dagli antifascisti. Christa Wolf è stata una scrittrice anomala, controversa e spesso contestata, una delle maggiori del ‘900 in lingua tedesca; è morta dieci anni fa e oggi è probabilmente meno letta di quanto meriterebbe. Ma le sue riflessioni sulla storia e la memoria, sul rapporto fra le donne e il potere, la sua tensione verso l’utopia non hanno perso d’attualità.

In una graphic novel pubblicata da BeccoGiallo (Christa Wolf. Vivere resistendo), le autrici Monica Foggia e Martina Marazadori fanno dialogare Christa con Cassandra, il personaggio mitologico protagonista del suo libro forse più famoso. Le due donne si specchiano una nell’altra, entrambe inascoltate – l’una a Troia, l’altra nella Berlino socialista – nella loro denuncia del potere e della sopraffazione, ma entrambe incapaci di trovare pace fuori dalle loro città.

Christa Wolf, negli anni del crollo del muro di Berlino e subito dopo, finì al centro di durissime polemiche. Era una scrittrice affermata, tradotta in molte lingue, forse l’intellettuale più conosciuta della Ddr; non aveva mancato di criticare il regime, tutt’altro, ma al momento del crollo della Ddr fu attaccata e contestata per essere stata una “scrittrice di regime”, per avere ottenuto il successo in cambio della fedeltà al Partito. Christa, oltretutto, non era convinta che il processo di riunificazione procedesse nel modo giusto: sperava in un incontro fra le due Germanie capace di contenere gli eccessi del capitalismo, mentre sotto i suoi occhi il modello dell’Ovest – la democrazia abbinata al consumismo – prendeva rapidamente campo.

Quando poi negli archivi della Stasi furono trovati alcuni fascicoli che la indicavano come collaboratrice nel periodo 1959-1962 col nome di Margarete, la tempesta sembrò travolgerla. In verità, le carte mostravano altro: "Durante i colloqui – si leggeva in una relazione dei servizi segreti – l’informatrice Margarete ha manifestato un crescente riserbo nei confronti della Stasi. Non sono state inoltre rilevate differenze fra le opinioni che la stessa ha espresso in pubblico e quelle espresse nel privato sui propri colleghi scrittori". La Stasi addirittura aprì un fascicolo a carico di Christa e del marito Gerhard, denominandolo Doppelzungler, lingua biforcuta.

Christa coltivò fin dalla scelta di aderire alla Ddr, nel 1949, l’utopia di un socialismo autentico, popolare e partecipativo, ma si trovò presto alle prese con un regime di polizia. Interpretò così il suo ruolo di “scrittrice di stato” nell’ottica di un continuo sforzo di superamento dei confini culturali, linguistici e politici imposti dall’alto. Usò le riscritture di miti dell’antichità – Cassandra, ma anche Medea – come metafore del suo tempo e della sua condizione. Riuscì a mantenere un’autonomia artistica e di pensiero, senza mai abbandonare la Ddr, che rimaneva per lei il suo posto nel mondo, il luogo in cui lottare.

Nel 1976, col marito e altri scrittori firmò una lettera aperta al capo del partito e dello stato Eric Honecker in difesa di Wolf Biermann, cantautore dissidente che era stato privato della cittadinanza. Gerhard Wolf fu espulso dal partito, lei dall’Unione degli scrittori e la coppia fu messa sotto stretta sorveglianza. Ma quando nel ‘90 uscì Che cosa resta, il diario-racconto scritto nel ‘79 da Christa sull’asfissiante presenza della Stasi nella loro vita, la pubblicazione fu da molti interpretata come un tentativo di rifarsi una verginità...

Pensando anche alla lingua incompresa di Cassandra, Christa Wolf ha cercato libro dopo libro di approdare a una “lingua nuova”, generatrice di forme più avanzate di convivenza. Il 4 novembre 1989 a Berlino Est, sul palco allestito in una Alexanderplatz ribollente, nel pieno delle proteste che avrebbero fatto crollare il regime socialista, disse: "Ogni movimento rivoluzionario libera anche la lingua. Ciò che prima era difficile dire, ora viene alla bocca. Democrazia, ora o mai".

È la scena madre della graphic novel di Foggia e Marzadori, e anche un pensiero attuale, in un’epoca di potenziali grandi cambiamenti, ma ancora in cerca di una strada, di nuove parole, specie nelle giovani, frementi generazioni. "C’è molto da fare al mondo – diceva la scrittrice, anche dopo il tramonto della Ddr –. A me almeno nulla sembra al posto giusto".

Passati dieci anni dalla sua morte, invece di dimenticarla, dovremmo considerare che Christa Wolf, con i suoi libri onesti e tormentati, con la sua difficile testimonianza, fa parte della storia europea, e non solo di quella tedesca. E ricordare che il passato (compresa la sua esperienza di donna e di scrittrice) non è morto e non è nemmeno troppo passato.

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