Roma, 15 gennaio 2024 – Cresciuta a teatro con il genio feroce di Carmelo Bene, Laura Morante è approdata al cinema con Bertolucci – anzi, con i Bertolucci: Giuseppe e Bernardo – per poi trovare il cinema di Moretti, Verdone, Amelio, Virzì, di maestri internazionali come Alain Resnais. Diretta da Michele Placido, aveva già interpretato una scrittrice, Sibilla Aleramo, in Un viaggio chiamato amore. Del resto per lei la scrittura è sempre stata cruciale: nipote di Elsa Morante, una delle più grandi scrittrici del Novecento, cresciuta con Alberto Moravia come “zio“ acquisito, Laura è anche autrice di un libro di splendidi racconti, Brividi immorali, per La nave di Teseo.
A fine novembre, al Torino film festival, ha presentato – fuori concorso – Folle d’amore, il film di Roberto Faenza in cui dà volto e voce ai tormenti e alle illuminazioni, ai ricordi e agli struggimenti di Alda Merini, la “poetessa dei Navigli“. La donna che è stata capace di rivoluzionare gli schemi della poesia, e di far luce sulla disumana condizione dei manicomi.
"Sono Alda Merini e le mie poesie sono in vendita nei libretti a mille lire". Comincia così il film di Roberto Faenza sulla poetessa milanese che si definì "la pazza della porta accanto", che vedremo su Raiuno a febbraio. Il film mostra Alda in tre età della vita. Poco più che bambina, interpretata da Sofia D’Elia, nella giovane età segnata dalla lunga degenza in manicomio, interpretata da Rosa Diletta Rossi, infine nella maturità, in cui si racconta nel disordine della sua casa sui Navigli, tra una sigaretta e l’altra, al giovane amico Arnoldo Mondadori jr.
Laura, qual è l’Alda Merini che porta sullo schermo?
"È l’Alda Merini che ho conosciuto, nelle sue poesie e nelle immagini video che la ritraggono. Un misto di amore, sofferenza, tragedia, lucidità. Una donna che, quando parla, è come se seguisse una voce, una voce che le suggerisce i toni, i ritmi, i pensieri, le illuminazioni poetiche. Quando quella voce tace, dice cose comuni, anche banali. Poi torna quella ‘voce’, quella luce interiore. E Alda torna a luccicare poesia".
Come ha lavorato sulla costruzione del personaggio?
"Sono entrata nel progetto del film piuttosto tardi, non ho avuto il tempo di prepararmi in stile Actor’s Studio. In più nel film non c’è quasi azione, tutto è affidato alla parola. Io non assomiglio fisicamente ad Alda Merini, e sono toscana, non milanese… Così, abbiamo deciso di non fare un’imitazione esteriore di Alda. Era più importante trovare la sua voce. Non abbiamo lavorato molto sul trucco, abbiamo solo aggiunto alcuni ‘volumi’ al mio corpo, una ‘corazza’ che mi dava più spessore".
Il fatto che Alda Merini sia apparsa così tanto in televisione, negli ultimi tempi, imponeva una sfida ulteriore…
"Certamente, perché ognuno custodisce la ‘sua’ Alda Merini. In Un viaggio chiamato amore ero facilitata, perché di Sibilla Aleramo pochi conoscevano il volto. Mi sono concentrata, allora, sulla sua voce, sul ritmo che aveva quando parlava. Ho cercato di entrare nell’animo di una donna assoluta, umana, feroce nella sua dolcezza e nella sua ricerca di verità".
Che cosa la ha colpita di Alda Merini?
"La mutevolezza. Talvolta era banale, altre volte straordinariamente magica e delicata. In alcuni momenti sapeva raggiungere livelli altissimi, quelli che raggiungono solo i poeti e gli artisti".
Alda Merini era una donna “fuori norma“. Fu ricoverata a forza, dopo una lite col marito.
"Viene dipinta come una donna disturbata, non sana di mente. In realtà ebbe la sfortuna di essere ricoverata quasi senza ragione, come accadeva una volta. Un giorno ebbe un litigio forte col marito; l’hanno subito presa e portata in manicomio. Da lì è cominciato per lei un percorso tragico. Solo alcuni medici intelligenti sono riusciti a capire il suo vero animo, la sua poesia, una delle più pure del Novecento".
Il film, prodotto da Jean Vigo e Rai Fiction, accoglie anche Lirica antica, un brano interpretato e composto da Giovanni Nuti, che ha musicato una delle poesie più celebri di Alda Merini.