Domenica 6 Ottobre 2024
ANNA MANGIAROTTI
Magazine

La vita e l’arte, tutte le ossessioni di Ligabue

A Torino una grande mostra sull’artista di Gualtieri. Fra quadri, disegni, sculture la sua storia tormentata diventa una fiaba

La vita e l’arte, tutte le ossessioni di Ligabue

La vita e l’arte, tutte le ossessioni di Ligabue

Ne era sicuro: "Nessuno mi crede, ma andrò nei più grandi musei del mondo". Ora, Antonio Ligabue è arrivato nella deliziosa palazzina della Promotrice delle Belle Arti in Torino, nata al fine di "propagare le notizie dell’opera degli artisti e aiutarne lo spaccio". La location, progettata a inizio ‘900 con spazi espositivi che evitassero "la stanchezza del visitatore", è immersa in un parco romantico, a ridosso del fluviale Castello del Valentino, così appariscente che pare ripescato da una favola. Cornice preziosa di Ligabue. La grande mostra (fino al 26 maggio), 71 dipinti, 8 sculture e 13 disegni.

Toni, “al Matt“ di Gualtieri, ha dunque risalito il Po dalla Bassa Reggiana, sui cui argini ha lavorato come “cariolante“, fino alla capitale sabauda. E ci racconta la sua storia (disgrazie, sradicamenti, solitudine, fame, miseria, precaria salute mentale) diventata fiaba. Castelli incantati, non a caso, sono disseminati “sui” (non “nei”) quadri: vedi Diligenze con castello, dove viaggia il sogno di una coppia di sposi felici, o sullo sfondo del Trasporto della birra e de I postiglioni.

Lo fa notare il curatore Giovanni Faccenda: "Reminiscenze architettoniche della sventurata infanzia trascorsa in Svizzera. Dove l’artista nasce nel 1899 da madre friulana e padre incerto; poi legittimato dal patrigno Bonfiglio Laccabue assai odiato (perciò, il cognome diventerà Ligabue), che lo rende cittadino di Gualtieri; poi affidato a una coppia svizzero-tedesca; poi, per aggressività e ribellione espulso in Italia senza sapere una parola d’italiano. “Al tedesch“, firmatosi talvolta Ligabün, scompare nel 1965, dopo varie degenze in ospedali psichiatrici e in ricoveri di mendicità. Per un suo dipinto, di recente, uno sceicco di Dubai ha sborsato dodici milioni". Successo ottenuto senza scuola e senza accademia. E a dispetto dello snobismo dei critici d’arte. Barattando per una manata di albicocche sculture, oggi, riconosciute “capolavori”: vedere cinghiali, gorilla, pantere, creati impastando in bocca l’argilla del Grande Fiume.

Come in ogni vera fiaba, c’è però un mago, precoce: "A 13 anni, Augusto Agosto Tota di Guastalla incontra Ligabue nel 1951, senza più perderlo di vista. E gli fa da mercante, quando alla fine del decennio il suo lavoro inizia a concretizzarsi in termini di apprezzamento e valore" ricordano Cinzia e Simona Agosta Tota, titolari della Fondazione Augusto Agosta Tota per Antonio Ligabue - Centro Archivio dal 1983. Al padre dedicano la mostra torinese. Mentre noi ricordiamo che fu un servizio nel 1957 di Severo Boschi, con immagini tuttora celebri di Aldo Ferrari, su Il Resto del Carlino, a far conquistare a Ligabue autentica popolarità. Ben prima dello sceneggiato Rai, 1977, di Salvatore Nocita, interprete Flavio Bucci, e del toccante Volevo nascondermi, 2020, con un grandissimo Elio Germano.

Da non perdere, tra le sezioni espositive, anche un frammento del film di Andreassi: il pittore stesso, in scena, incalza la donna idolatrata, "dammi un bacio", e mormora "dopo vedrai che bello". Cioè, un bacio muta in meno di un attimo una bocca schifosa in una rosa. Scena da confrontare con i numerosi autoritratti dalla gamma cromatica brillante: "Le tempie sanguinanti per far uscire il male oscuro, una mosca o una farfalla come allegorie di un vivere non solo tragico – spiega il curatore – ma è nella tigre con la bocca spalancata che Toni, nostrano Munch, meglio si ritrae".

E da qui lo sguardo corre anche a cavalli, cervi, rapaci, galli, ai quali lui, Orfeo di paese, vero fauve, presta i suoi occhi. Ululando o ruggendo quando li dipinge. Immedesimazione totale, malata, specchiata, nella comune lotta per la sopravvivenza, fra terrore e coscienza della sconfitta: "Forse gli animali vedono le cose quali sono", ha scritto Cesare Zavattini nel fiabesco poemetto Ligabue, rivelandoci, oltre al mistero dell’arte, chi era davvero l’artista con l’ansia di trovare un segno verso l’impossibile, rientrando poi nelle regole col pennello in mano: “Se dovessi narrare in una riga / la storia di Ligabue / direi che era meraviglioso come noi”.