Battaglia
"Tutto intorno a me è una pietra sotto la quale si nasconde una poesia o una storia di cui scrivere". È con queste parole che il poeta e traduttore americano-palestinese Mosab Abu Toha – vincitore dell’American Book Award con il suo Things you can may find hidden in my ear – ha descritto l’urgenza di espressione che il racconto della realtà impone allo scrittore, testimone del suo tempo. Questa urgenza risulta sempre più necessaria tanto più i tempi si fanno bui, oscuri e difficili.
Perché le guerre, le dittature, gli eccidi, per quanto sottomettano i corpi, difficilmente riescono ad annichilire la lingua. E la lingua batte anche se il dente duole, soprattutto per chi ha il coraggio di continuare ad usarla nonostante il dente sia già cariato.
Parlare di libertà di stampa e di parola, e soprattutto difenderla oggi significa capire che questo principio va difeso sempre e non può essere utilizzato applicando dei doppi standard: se i poeti, gli scrittori, i giornalisti vengono censurati, perseguitati, rapiti, incarcerati perché hanno avuto il coraggio di raccontare ciò che altri preferiscono non raccontare per opportunità politica, questo criterio va applicato sempre: sia quando a censurare, perseguitare e rapire siano notorie dittature, sia quando si tratti di pericolose milizie con bracci armati terroristi, sia quando lo facciano democrazie che lentamente si stanno trasformando in democrature.
La vicenda di Julien Assange, sulla quale comunque il mondo dei giornalisti e dell’informazione è diviso, è l’esempio più eclatante sul tema, oltre che il più controverso. Questi doppi standard non possono nemmeno più essere applicati su distinzioni geografiche, etniche, linguistiche, di genere: per questo, una organizzazione in difesa dei giornalisti minacciati come il Committee to Protect Journalists ha denunciato la mattanza di giornalisti nella Striscia di Gaza – più di cento morti – ma va detto che questa difesa è stata portata avanti con un colpevole ritardo di tre mesi perché nessun reporter internazionale poteva essere annoverato tra le vittime.
Sarebbe bene rendersi conto che la difesa della libertà di stampa e di parola, attraverso i linguaggi e la scrittura, non può essere più applicata a corrente alternata, né perpetuando un meccanismo culturalmente coloniale, altrimenti verrà percepita come un vuoto, un esercizio di stile e le élites culturali perderanno la fiducia del pubblico, più di quanto non l’abbiano già perduta.
In sintesi, in un mondo dove nelle interazioni sociali, soprattutto digitali, all’esigenza di capire si è sostituito il desiderio di credere, sembra che il giornalismo abbia abdicato alla sua funzione primaria, ossia essere lo specchio di tutte le componenti sociali.
In questo, l’arte e la scrittura sembrano difendersi meglio del giornalismo, non dovendo rispondere direttamente a una politica globale poco illuminata. Ma faticano a farsi spazio e, soprattutto, chi le teme applica sempre più frequentemente su di esse una vecchia arma oscurantista: la censura.
In Europa pensavamo di esserci dimenticati del suo utilizzo ma dobbiamo purtroppo ricrederci sul fatto che ogni volta che questa clava torna in voga nelle società, non preannuncia nulla di buono. Dunque, considerato che nelle democrazie ci vantiamo di possedere gli anticorpi alla dittatura, allora impegniamoci ad applicare le istruzioni per un uso davvero globale, solidale e onesto della libertà: non solo per pochi, non solo per ricchi e non solo per bianchi, per lo più maschi.