
Il realismo magico di Donghi
La ricerca della classicità e l’esigenza della modernità. Era animato da questi due stimoli il percorso di Antonio Donghi, principale esponente del Realismo magico che tra le due guerre accomunò artisti trovando spazio tra il furore dell’ avanguardia futurista e i fautori del ritorno all’ordine. Nella produzione del pittore romano (1897-1963) non c’è solo il racconto di ambienti descritti nell’immobilità sospesa e ambigua di un mondo senza tempo. In questa atmosfera rarefatta a spiccare sono gli occhi intensi dei soggetti che molto spesso puntano l’ osservatore. "Lo sguardo li rende estremamente vivi, ci pongono domande: perchè siamo qui, quale è il nostro posto della società?" dice Fabio Benzi, curatore della bella mostra Antonio Donghi, la magia del silenzio che Palazzo Merulana, a Roma, ospita fino al 26 maggio.
"Donghi era estremamente colto, compulsava tutta la storia figurativa italiana al punto da renderla indistinguibile. La sua era una pittura formale aggiornata da tensioni molto moderne" ha osservato Benzi ricordando la passione dell’artista per il cinema e il teatro.