Giovedì 3 Ottobre 2024

I miei fantastici anni al cinema

Dopo due lustri di teatro, Gabriele Falsetta ha trovato la sua comfort zone sul set "Adesso finalmente posso fare squadra" .

I miei fantastici anni al cinema

I miei fantastici anni al cinema

La prima volta non si scorda mai. Gabriele Falsetta, il sogno impossibile di fare il neurochirurgo a fronte di un rendimento scolastico insufficiente e la scoperta casuale del sacro fuoco della recitazione, ricorda ancora perfettamente il suo debutto a teatro ne ’Il ventaglio’ di Goldoni messo in scena da Luca Ronconi: "Era il 2007 e la mia parte consisteva nell’ingresso con una sedia in mano che lasciavo sul palco mentre io tornavo nei camerini ad ascoltare le battute degli altri tramite interfono".

Sedici anni dopo, abbandonato il teatro ("un ambiente ostile, dominato da ambizioni personali che sotterrano i rapporti e l’idea di partecipare collettivamente a un progetto") e approdato al cinema dove ha trovato il piacere di fare squadra, può annoverare nel solo 2023 la partecipazione a ’Monterossi 2’ sempre nei panni del Biondo, il ruolo di Farinacci nell’attesissimo ’M. Il figlio del secolo’ diretto da Joe Wright, Patrizio in ’Odio il Natale 2’, Piero Piccioni in ’Finalmente l’alba’ al debutto in sala il 14 febbraio.

Se non sono cattivi non piacciono o non vengono proposti?

"Ne sto discutendo con i miei agenti Federico Grippo e Dante Perrel perchè sicuramente negli anni passati subivo il fascino dei lati più oscuri della personalità, ma piano piano sto evolvendo come uomo e come attore e se da caratterista voglio diventare protagonista mi devo risolvere, stratificare più e meglio la psicologia, coltivare un fare naturalmente più meditativo per trasformare il fuoco bruciante degli inizi in una fiamma più densa e compatta. Lo stesso killer di Monterossi che faccio in coppia con Maurizio Lombardi ha già una vena ironica marcata: per due stagioni non sparano neanche un colpo e sono solo dei filosofi mentecatti dell’arte dell’arrangiarsi".

Ma Farinacci è un cattivo vero...

"Con il regista abbiamo però colto tutte le sfaccettature di un uomo di umili origini, figlio di un poliziotto napoletano, rimasto fino ai 18 anni in Molise, poi capostazione vicino a Cremona ma mantenendo un marcato accento del Sud, su cui ho fatto un lavoro importante proprio per rimarcare chi fosse nonostante l’ambizione sfrenata l’abbia portato ad accumulare una ricchezza pari a dodici milioni di euro di oggi. Si comprò la laurea ed esercitò l’avvocatura per arianizzare gli ebrei, falsificando i documenti dietro lauti compensi. Ecco, questa dicotomia, tra l’ignoranza di fondo, lo chiamavano l’antigrammaticale, e il carrierismo sfrenato è ciò che viene messo in risalto. E per immedesimarmi in lui ho visto e rivisto ’Mani sulla città’ di Rosi".

Piccioni rappresenta invece già un’Italia di intrallazzi coperti dalla politica. Vizi privati, pubblica virtù...

"L’assassinio Montesi non è mai stato risolto per cui il musicista indiziato nuota nell’ambiguità. E’ la cifra che mi ha richiesto il regista Saverio Costanzo per mostrare l’opacità di rapporti col potere (il padre era un ministro della Dc) che inquinarono la sua grande arte di pianista e compositore risucchiandolo in un ambiente malsano di pensiero e d’intenzioni".

In curriculum ci sono interpretazioni per le quali si promuove a pieni voti e altre meno brillanti?

"Tendo a non guardarmi per non cadere nella paranoia e nel rovello cerebrale esagerato che mi contraddistingue. Poi sul risultato più o meno buono incidono tanto le persone con cui si lavora. Sul set di ’M’ si è creata una grande famiglia anche grazie a Luca Marinelli, ci sentiamo ancora. E sul prodotto ha influito non poco".

Cosa le hanno insegnato le esperienze conflittuali vissute in teatro?

"Intanto a non ripetere certi errori di valutazione sulle persone. Ora riconosco gli altri ma conosco anche più e meglio me stesso, soprattutto mi dico sempre la verità. Però restano imprinting ronconiani insopprimibili come la lettura del testo e la spazializzazione".

Ci sono altri miti cui s’ispira?

"Nel mondo ho spiriti guida che vanno da Paul Thomas Anderson a Gary Oldman, da Martin Scorsese a William Hurt, a Cate Blanchett. Ma in cima a tutti metto l’intelligenza creativa di Nino Manfredi".

Viene da lì l’amore per la recitazione?

"No, è stato un incontro casuale da cui è scaturito un amore di cui lì per lì non mi sono accorto ma che mi travolge ogni giorno di più".