Genova rende omaggio alle prostitute: “Il porto si deve a loro”

Dalla canzone “Â duménega“ di De André alla targa per le donne che fra 1300 e 1400 con le loro tasse permisero di edificare i nuovi moli

Fabrizio De Andrè

Fabrizio De Andrè

“Ch’u meu-neuvu u gh’à u finansiamentu – u se cunfunde ‘nta confûsiún“. Traduzione direttamente dal genovese all’italiano: “Che il molo nuovo ha il finanziamento – si confonde nella confusione“. Così cantava Fabrizio De André in  Duménega: canzone che scrisse a quattro mani con Mauro Pagani e contenuta nell’album Crêuza de mä. In quel pezzo il direttore del molo di Genova – anno 1339 e De André e Pagani attinsero per la ricostruzione a piene mani da un libro, La città portuale del medioevo – era contento perché, grazie agli introiti di quelle che lui continuava comunque a considerare prostitute, era riuscito a finanziare i lavori del nuovo molo.

Dalla canzone (e dalla storia ora) alla realtà. Perché Genova ha deciso di rendere omaggio alle prostitute che nel Medioevo, con le tasse pagate sui loro guadagni, permisero la costruzione dei moli del porto, fondamentali per rendere la città una potenza economica mondiale.

A secoli di distanza da quei giorni e da quelle leggi che oggi appaiono avanzatissime, la città è pronta a rendere omaggio con una targa commemorativa a quelle donne che tra il 1300 e 1400 consentirono alla Superba di diventare la regina dei traffici marittimi. L’idea di ricordare le prostitute genovesi era nata nel 2017 da un’associazione della città vecchia, la Fondazione Amon, che era stata sostenuta dalle Comunità San Benedetto e Princesa, uniti nel voler dare un riconoscimento alle donne di strada. Dopo cinque anni questo impegno si concretizza e in qualche modo rimedia a un’ingiustizia: anche se i moli cittadini erano stati costruiti con il lavoro delle “lucciole“, proprio a loro era vietato avvicinarsi all’area portuale per non distogliere dal lavoro i camalli e i marinai. Ancora oggi in genovese per indicare un evento impossibile si dice “A l’è cheita ‘na bagascia in maa senza bagnase“ (è caduta una prostituta in mare senza bagnarsi). Un fatto considerato impossibile visto che le prostitute non potevano entrare nel porto o salire sulle navi.

La targa, destinata alla parete esterna di Sottoripa dietro a Palazzo San Giorgio, sarà una curiosità per i genovesi e per i turisti che trovano sempre nella città vecchia il fascino della trasgressione, ma anche uno spunto per il dibattito sulla questione mai sopita dell’opportunità di riconoscere e tassare il lavoro delle “lucciole“. Lo facevano, brillantemente, nel Medioevo e non si può fare oggi? A volte la storia si ripiega su se stessa invece di evolvere.

Il testo (provvisorio) della targa – che deve ancora passare l’ultimo esame della Sovrintendenza, chiamata a valutare anche il materiale più adatto per realizzarla – suona così: "Tra il XIV e il XV secolo le lavoratrici dell’antica “arte del meretricio” potevano esercitare, protette e curate, versando 5 soldi al giorno alla Repubblica di Genova. Con i proventi di tale gabella la Repubblica finanziò importanti opere monumentali, tra queste la costruzione e l’ampliamento della fabbrica, zona che era vietata alle nostre lavoratrici".

Impossibile non pensare a Faber. Sono passati quasi trent’anni dal 19 settembre 1996, giorno di uscita di Anime salve, quasi un testamento morale per De André, scomparso a nemmeno 59 anni nel gennaio 1999. Un album in cui vivono gli ultimi, i derelitti, gli emarginati. E proprio Prinçesa, la storia di una prostituta, apre l’album. È una storia vera di una donna nata in un corpo maschile, tratta dall’autobiografia di Fernanda Farias de Albuquerque. Il Brasile fa da sfondo al racconto di Fernandinho che cresce col desiderio di essere donna. Finché decide di abbandonare la terra natia per “correggere la fortuna”. Un viaggio verso un nuovo continente, alla ricerca della propria identità. Perché in fondo “Fernanda è proprio una figlia. Come una figlia vuol far l’amore”. Con un’operazione diviene donna ed inizia a praticare il mestiere più antico del mondo.

Una sconfitta per Prinçesa? No. Per Faber ora Prinçesa è una “stella che brilla di luce” ma anche una “bambola di seta”. E alla fine lei “regala il cuore” a un avvocato di Milano. La strofa finale in portoghese è il riassunto della sua vita e termina con una singola parola. Viver. Vivere e lottare come le fiere prostitute genovesi che, con il loro lavoro, resero grande la città.

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro