Giovedì 16 Maggio 2024

Frank Stella, il dio dell’arte anni Sessanta

Addio al pittore che traghettò gli Usa dall’espressionismo astratto al minimalismo. Rivoluzionario: come Dylan per la musica e Warhol per tutto

Frank Stella, il dio dell’arte anni Sessanta

Frank Stella, il dio dell’arte anni Sessanta

Esposta per la prima volta alla Leo Castelli Gallery di Manhattan nel 1967, la serie Protactor ispirata a un goniometro (più di 100 dipinti monumentali con semicerchi sovrapposti di colori brillanti intitolati ciascuno a città circolari visitate in Medioriente) lo rese "un dio del mondo dell’arte degli anni Sessanta: l’impatto del suo genio sull’astrazione – avrebbe scritto in seguito Peter Schjeldahl sul New Yorker – era paragonabile a quello Dylan sulla musica e di Warhol su più o meno tutto".

Le operazioni alla schiena, al ginocchio, all’anca negli ultimi anni ne avevano limitato la mobilità, non però lo spirito dei vent’anni che lo portava a cimentarsi da ottuagenario con l’irrefrenabile creatività che aveva dentro. Poliedrico e celebre per non aver mai voluto interpretare i suoi lavori, Frank Stella, che traghettò l’arte americana del periodo postbellico dall’espressionismo astratto al minimalismo, è morto per un linfoma a 87 anni nella sua casa di Greenwich Village a Manhattan. Fedele alla massima di "ciò che vedi è ciò che vedi" e alla convinzione che un quadro fosse "una superficie piatta con sopra pittura, niente di più", Stella non si era tradito neanche quando nel 2015 il Whitney gli aveva dedicato la retrospettiva inaugurale dopo trasferimento sulla High Line. C’era da raccontare una carriera di sei decenni, una produzione vastissima di oltre 3.000 opere in perenne reinvenzione, a partire dalle monumentali simmetrie e i Black Paintings della fine degli anni Cinquanta, poi la partecipazione al padiglione americano alla Biennale di Venezia del 1965, l’unico minimalista in una passerella di star della pop art da Robert Rauschenberg a Jasper Johns.

Nel 1970, ad appena 33 anni, Stella fu il più giovane artista a meritare una retrospettiva al MoMA. I dipinti-scultura degli anni ‘70 e ‘80 -–appassionato di corse automobilistiche, nel 1976 aveva dipinto una Bmw in gara a Le Mans da cui era nata la serie The Circuits del decennio successivo – avevano poi aperto la strada alle grandi commissioni di arte pubblica come i murali per la Gas Company Tower di Los Angeles del 1991. Nel 1982 un soggiorno all’American Academy a Roma lo aveva portato a studiare Caravaggio: "La pittura del 20° secolo potrebbe imparare molto da lui", aveva detto due anni dopo in una conferenza a Harvard. Quell’anno, proprio ad Harvard, Stella aveva conosciuto Italo Calvino: la serie Cones and Pillars – Giufà e la Statua di Gesso, Lo Sciocco Senza Paura, Corpo Senza l’Anima – prese a prestito i titoli dalle Fiabe Italiane.

Italo-americano middle class del Massachusetts, Stella se ne va passando alal storia come un artista che ha continuamente riscritto le regole – per prime quelle dava a se stesso, sperimentando, reinventando, preveggendo.

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