Venerdì 11 Ottobre 2024
GIOVANNI BOGANI
Magazine

Caro papà Comenicini, la figlia Francesca: "L’arte, la droga, l’amore. Ecco il film della mia vita"

La regista racconta il padre cineasta, interpretato da Fabrizio Gifuni. Fuori concorso alla Mostra la regista con la sua opera più intima e coraggiosa.

La regista Francesca Comencini tra gli attori Fabrizio Gifuni e Romana Maggiora Vergano a Venezia (Ansa)

La regista Francesca Comencini tra gli attori Fabrizio Gifuni e Romana Maggiora Vergano a Venezia (Ansa)

Venezia, 7 settembre 2024 – Raccontare se stessi, mettersi in scena, scavare nella memoria, tirarne fuori i ricordi più dolorosi, i più struggenti. L’incontro con una balena sotto un tendone da circo, le parole scambiate con un padre che ci tratta come adulti anche se siamo bambini. E poi, un’adolescenza da attraversare, nel mare turbolento degli anni ’70, quelli delle chitarre in piazza, della lotta armata, delle droghe. Con Il tempo che ci vuole, presentato ieri fuori concorso alla Mostra di Venezia, interpretato da Fabrizio Gifuni e Romana Maggiora Vergano (già figlia della Cortellesi in C’è ancora domani), Francesca Comencini firma il suo film più intimo e coraggioso. Perché racconta se stessa e il rapporto con suo padre, Luigi Comencini, il regista di ‘Pane, amore e fantasia’ e del Pinocchio tv, sceneggiato cult degli anni ’70, morto nel 2007 a 91 anni. Un rapporto fatto di luci e ombre, dalla fascinazione infantile ai conflitti adolescenziali, ai segreti che non si riescono a dire. Un film come lettera d’amore a un padre che non c’è più. Ma anche un film come confessione.

"È il film che volevo fare da tutta la vita", dice Francesca Comencini, 63 anni. "Ci ho messo i ricordi con i quali convivo da sempre, quel teatro sempre aperto nella mia testa". Prosegue la regista: "Non mi sono chiesta se a mio padre sarebbe piaciuto, questo film. Sarebbe stata una domanda paralizzante. Ma sono felice di avergli reso, a modo mio, un omaggio. Di aver raccontato la sua importanza per me, come regista e come padre. Superati i sessant’anni, dopo aver passato tutta la vita a cercare di non essere vista come “la figlia di“, ho capito che ciò che sono, più profondamente, è proprio questo, la figlia di quell’uomo". In una scena molto toccante, la figlia ventenne – che confessa al padre la propria tossicodipendenza – rivela la sua sensazione di sconfitta, di fallimento. E il padre, invece di spronarla, rivela di aver provato la stessa sensazione di fallimento, di inadeguatezza, da tutta la vita. "Credo che sia una grande lezione, ascoltare un regista di successo dire “tutta la mia vita è stata un continuo destreggiarmi col fallimento”. Oggi c’è una spinta terribile ad avere successo. Invece, puoi trarre delle grandi lezioni dal fallimento".

Le fa eco Fabrizio Gifuni, che nel film interpreta il padre: "Quante volte i ragazzi usano il termine looser, perdente, come il peggior insulto? Beh, prima ci si libera da queste stupidaggini, meglio si vivrà". Francesca Comencini racconta un momento molto delicato della sua personale biografia: "Negli anni ‘70 c’è stata una presenza molto importante delle droghe, nelle quali molti della mia generazione – fra i quali io stessa – sono incappati. Ma ho pensato che fosse importante raccontare che una dipendenza non è uno stigma, una vergogna. Se ne può uscire anche a testa alta". Il film, prodotto da Marco Bellocchio, uscirà nelle sale il 26 settembre.