
Uno scatto sui sghiacciai di Sebastião Salgado. A destra il fotografo brasiliano (© Sebastião SALGADO)
Roma, 10 maggio 2025 – Nel dicembre 2018 l’artista danese-islandese Olafur Eliasson depositò davanti alla Tate Gallery di Londra due dozzine di blocchi di ghiaccio provenienti dalla Groenlandia. Li aveva prelevati, in collaborazione con il geologo Minik Rosing, in un fiordo nei pressi della capitale Nuuk: l’installazione, chiamata Ice Watch, intendeva richiamare l’attenzione pubblica sullo scioglimento in corso dei ghiacciai (non solo in Groenlandia), in concomitanza col vertice sul clima Cop 24, che si teneva in quei giorni a Varsavia.
Le vie del freddo
Eliasson aveva disposto i ventiquattro blocchi in modo da comporre un orologio, cosicché lo scioglimento dei blocchi, ora per ora, rammentasse la gravità del fenomeno in corso e anche l’urgenza di intervenire per rallentarlo, prima che sia troppo tardi.
La performance, ahinoi, non bastò a scuotere dal loro paralizzante torpore i decisori politici globali e quindi la mobilitazione degli artisti in difesa dei ghiacciai deve continuare. Max Leonard nel suo ‘Le vie del freddo. Storia del ghiaccio e della civiltà’ (Einaudi 2025), cita anche un’altra artista, la scozzese Katie Paterson, che ha raccolto e inciso su tre dischi le ‘voci’ di altrettanti ghiacciai islandesi, per poi realizzare tre dischi di ghiaccio congelando l’acqua di fusione di ciascuno. Anche qui, metafore e messaggi in serie, per chi volesse ascoltarli.
‘Ghiacciai’: la mostra ‘sdoppiata’ di Salgado
E poi c’è Sebastião Salgado. Il grande fotografo brasiliano è anche lui un appassionato di ghiacciai e ne ha fotografati in mezzo mondo, dalla Patagonia al Canada, dall’Himalaya alla Russia. Un’importante selezione di questi suoi scatti, oltre cinquanta, è esposta al Mart di Rovereto e al Muse di Trento, in una mostra sdoppiata, Ghiacciai, curata dalla moglie Lélia Wanick Salgado. Sono riproduzioni in bianco e nero di grandi e anche grandissime dimensioni e mostrano i ghiacciai in tutto il loro enigmatico splendore. Sono formazioni enormi, a volte flessuose, altre massicce e imponenti, sempre sorprendenti e affascinanti come pochi altri “fenomeni” della natura.

I contributi degli studiosi
Leonard nel suo libro dice che il primo a descrivere un ghiacciaio, nel 1741, fu William Windham, gentiluomo inglese che pubblicò un opuscolo passato alla storia anche perché per la prima volta, grazie al contributo di Peter Martel, la montagna alpina osservata dal lato francese fu chiamata ‘Mont Blanc’, Monte Bianco (prima era semplicemente Les Glacières, le ‘montagne di ghiaccio’).
Windham in realtà non riuscì a descrivere granché: gli mancavano le parole, le metafore giuste per dare un’idea per iscritto di quelle masse d’acqua solida; gli parve pressoché impossibile ‘spiegarle’ a chi non le avesse mai viste.
La metafora: “L’acqua divenne osso”
La metafora che prese poi piede, "un mare di acqua”, era in realtà sbagliata, perché i ghiacciai, semmai, sono dei fiumi d’acqua. Alla fine persuadono di più le espressioni che si trovano nel Libro di Giobbe dell’Antico Testamento – “Come pietra le acque induriscono e la faccia dell’abisso si raggela” – o la metafora, citata da Leonard, che si trova in una raccolta di indovinelli e componimenti poetici anglosassoni del X secolo: "Sul mare accadde una cosa stranissima: l’acqua divenne osso".
"Sentinelle del cambiamento climatico”
Passati vari secoli, questi ossi insoliti e preziosi stanno sparendo sotto i colpi del riscaldamento globale e il rischio di una catastrofe è incombente. Elisa Palazzi, docente di Fisica del clima all’Università di Torino, nel catalogo della mostra di Salgado pubblicato da Contrasto, ricorda che "i ghiacciai sono sentinelle del cambiamento climatico e la loro recente fusione testimonia che il mondo si sta scaldando a una velocità mai vista prima".
E sappiamo che i ghiacciai rivestono un ruolo cruciale come regolatori della temperatura sulla superficie terreste, e inoltre forniscono acqua potabile a due miliardi di persone e le fonti di irrigazione per due terzi dell’agricoltura mondiale.
La struggente bellezza degli scatti di Salgado
La vita sul pianeta, insomma, è strettamente legata alla salute dei ghiacciai, e anche per ciò queste “indescrivibili” presenze alimentano l’arte, la cultura, il pensiero degli umani da secoli e secoli; oggi, in pieno Antropocene, il sentimento prevalente è quello dell’angoscia, solo in parte lenita dalla struggente bellezza delle masse di ghiaccio, esaltata dalle fotografie di Salgado.
Non per caso il catalogo della mostra trentina si apre con un verso di Primo Levi, tratto dalla poesia Il Ghiacciaio, del 1946: "E ci si sciolse il vigore nel petto / come quando si perde una speranza".