Domenica 6 Ottobre 2024
BEATRICE BERTUCCIOLI
Magazine

Crimini e rivolte nei turbolenti ’70. La banda-Giallini dai fim alla tv

Una banda di simpatici balordi viaggia nel tempo per rimediare a un guaio che hanno combinato e riscrivere la storia. Una serie divertente che, tra commedia e riflessioni, ricorda l'importanza di imparare dalla storia e di non calpestare i fermenti del presente.

Crimini e rivolte nei turbolenti ’70. La banda-Giallini dai fim alla tv

Crimini e rivolte nei turbolenti ’70. La banda-Giallini dai fim alla tv

Marco Giallini ricorda bene quella volta che suo padre l’aveva portato a comprare la stoffa per l’abito della cresima. "Eravamo in un negozio del centro di Roma, a Corso Vittorio, e io stavo sulla porta a guardare le macchine che passavano: uno spettacolo per me adolescente che vivevo in periferia. A un certo punto – racconta Giallini –- si sentono dei colpi di pistola, si vede del fumo. Erano due che sparavano contro un furgone della polizia. Mi sembrava di stare in un film. Subito abbassarono la saracinesca del negozio e rimanemmo chiusi là dentro per un’ora. È un’immagine che non posso dimenticare e che è emblematica del periodo. In Italia c’era la guerra".

Anni difficili i Settanta, pieni di fermenti e di furori, segnati dalle contestazioni studentesche, dalle occupazioni, dalle spinte ideologiche della sinistra ma anche dalle derive della destra, con il tentativo di golpe di Junio Valerio Borghese. La banda di simpatici balordi composta da Moreno (Marco Giallini), Giuseppe (Gian Marco Tognazzi), Claudio (Giampaolo Morelli) e Gianfranco (Massimiliano Bruno), dopo il successo dei tre film, si ricompone per affrontare una nuova avventura e un nuovo, folle, divertente, viaggio nel tempo con Non ci resta che il crimine – La serie, sempre ideata e diretta da Bruno (con l’aiuto per la regia di Alessio Maria Federici), sei episodi da venerdì su Sky e in streaming su Now.

I film avevano trasportato personaggi e spettatori prima negli anni Ottanta, poi nei Quaranta. "Questa volta volevo che la storia partisse da quando sono nato, nel giugno del 1970", racconta Massimiliano Bruno. È Giuseppe, il personaggio interpretato da Tognazzi, a trascinare tutti in quell’anno. Ha scoperto di essere stato abbandonato dalla madre quando era ancora un neonato e, individuandola in una foto di quell’anno, viaggia indietro nel tempo per poterle parlare.

I nostri, però, combinano un bel guaio perché con le loro incaute azioni fanno precipitare l’Italia in una ultradecennale dittatura fascista. Dovranno poi tornare di nuovo in quel periodo per rimettere le cose a posto. "Raccontare in sei puntate una nuova avventura è stato meno complicato di quanto mi aspettassi. Anche perché il cast ce l’avevo già, eravamo sempre noi. E l’anno, il 1970, mi permetteva di iniziare da quella partita dei mondiali in Messico, la mitica Italia-Germania 4 a 3, anche se poi la storia prende tutta un’altra piega, e anche un’altra profondità". Anche la serie, come i tre film, segue il registro della commedia, puntando a divertire, ma non rinuncia a veicolare anche riflessioni che alludono al presente.

"Erano gli anni della legge sull’aborto, sul divorzio, gli anni del movimento femminista. Erano anni di fermento politico enorme – ricorda Bruno – ma il ventennio successivo ha cancellato tutti i risultati che erano stati raggiunti. Bisogna imparare dalla storia, fare in modo che il fermento che c’è oggi, delle donne, degli studenti, dei giovani e che si è visto nelle manifestazioni del 25 novembre, non venga ancora una volta calpestato da ideali nichilistici e edonistici. Quindi è importante che i giovani vedano, anche con questa serie, quanto lottavano quei ragazzi e ricordarlo a chi si è spento".

E non ha dubbi, Massimiliano Bruno, se fosse possibile, lui tornerebbe proprio al giorno della sua nascita. "Per vedere com’erano papà e mamma, per farmi una passeggiata nel quartiere e vedere com’era Roma in quel mese in cui sono nato. Per curiosità, e per nostalgia. Per vedere com’era quella donna che mi ha messo al mondo e com’era teso quel papà. Che mi ha sempre detto di avere portato a mia madre un mazzo di rose color tè. E continuo a cercarle quelle rose color tè, ma non le ho mai trovate".