Ghedini
La biografia è un genere letterario che è sempre andato di moda, a partire dall’ellenismo, quando oggetto dell’attenzione degli scrittori erano non solo personaggi illustri e divinità ma anche protagonisti della grande tradizione epica e mitica. Con l’età romana si ha una vera e propria codifica del genere letterario: accanto ad opere come le Vite Parallele di Plutarco o le biografie dei Cesari, gli scrittori si dilettavano di narrare le vicende dei grandi condottieri, come Alessandro Magno e Achille, le cui imprese attraversarono l’immaginario medievale, arricchendosi via via di episodi fantastici. Le fonti a disposizione per ricostruire la vita dei grandi dell’antichità sono per lo più letterarie: l’epica, che da Omero in poi ha creato caratteri indimenticabili, la poesia e la tragedia, preziose perché narrano gli episodi salienti della vita dei protagonisti offrendo anche spunti per entrare nella loro intimità.
Nel corso dei secoli, le mitiche imprese di eroi ed eroine sono state rappresentate anche per immagini, fornendo episodi talvolta inediti, narrati con l’immediatezza che caratterizza questo mezzo di comunicazione. Le immagini, infatti, spesso dicono più delle parole, perché cristallizzano in un solo fotogramma una cultura viva, formatasi anche grazie ai canti degli aedi che allietavano i simposi, ai racconti orali delle balie e dei soldati, agli spettacoli teatrali pubblici e privati. Nel patrimonio iconografico giunto fino a noi sono presenti anche biografie per immagini. Il genere godette di una particolare fortuna in età tardo antica quando, attorno ad Achille, o aristos ton Achaion, “il più forte dei Greci”, si concentrò l’attenzione di artisti ed artigiani, che “misero in scena” in una serrata sequenza di immagini la sua vita, dalla nascita alla morte. Minor fortuna ebbero le biografie figurate femminili, ma le numerose immagini che le vedono protagoniste offrono comunque spunti importanti per ricostruire il loro vissuto e la loro personalità, dal momento che non solo realizzano visivamente le parole della tradizione letteraria, ma spesso ci restituiscono spunti inediti per comprendere la società maschilista e misogina in cui le donne vivevano.
Omero, per esempio, ci racconta di Circe, la figlia del Sole che con le sue arti magiche trasforma i guerrieri greci in maiali. Tuttavia, il repertorio figurato ci fornisce altri spunti per comprendere le radici del suo potere: in un piccolo altare proveniente dalle colonie greche in Sicilia la maga dai mille incantesimi è nuda e usa la forza della sua femminilità per assoggettare i malcapitati che approdavano alla sua isola, ignari del crudele destino che li attendeva. Scorrendo le fonti, si incontra invece un’inedita Circe, capace di passioni inestinguibili, come quella che nutrì per il giovane Pico, il re del Lazio, di cui conservava nella sua dimora una statua che riproduceva in tutto e per tutto le sue fattezze; una statua che quotidianamente ornava con corone di fiori freschi.
E che dire di Pasifae, la splendente figlia del Sole, condannata dalla vendetta di Venere a un amore contro natura per il più bel toro della mandria di Minosse? In alcuni affreschi a Pompei viene raffigurata seducente e regale, riccamente abbigliata e ingioiellata come si conviene a una regina. Lo spettatore fatica a riconoscerla in colei che, divorata da un amore folle e da un’incontrollabile gelosia, sacrificava le giovenche di cui si invaghiva il suo amato toro, e poi, sollevando al cielo le loro viscere palpitanti, gridava: “fatevi belle ora per lui” (Ovidio).
Vittima dei dardi di Eros è anche Fedra, regina di Atene, che invano cerca di resistere alla passione per il figliastro, il bellissimo e casto Ippolito, e si consuma e strugge fino quasi ad ammalarsi. Pittori e scultori la raffigurano sfinita, riversa sul suo trono, inutilmente assistita dalla solerte nutrice e dalle ancelle. Ma c’è anche un’altra Fedra, la seduttrice impenitente che cerca in tutti i modi di attirare a sé il giovane figliastro nonostante lui, votato alla castità, la rifiuti con sdegno.
E poi c’è Arianna, che dopo essere stata abbandonata a Nasso da un fedifrago e irriconoscente Teseo, lancia il suo anatema: "Nessuna donna creda più ai giuramenti di un uomo… Nessuna si illuda che l’uomo tenga fede alle sue parole" (Catullo). Ma Arianna rappresenta anche il riscatto: salvata da Dioniso, il dio dell’ebrezza e dell’estasi, che le insegna le gioie della carne. E alcune coppe dall’Etruria meridionale ci restituiscono l’immagine di una appassionata Arianna che si abbandona fremente fra le braccia del suo amante.
La più drammatica e al contempo la più attuale è Medea; quando l’uomo che le sconvolse la vita giunse in Colchide, Medea era una fanciulla piena di sogni, in attesa dell’amore. E l’amore assunse il volto bello del biondo Giasone, che fu la sua condanna. Per lui tradì il padre e la patria, per lui uccise il fratello e poi, pazza di gelosia, trucidò i suoi stessi figli. Un affresco da Ercolano la ritrae mentre, con la spada tra le mani, tenuta con delicatezza come se fosse un fiore, cerca la forza per compiere l’orribile delitto. "Armati o mio cuore" disse a sé stessa; e in un attimo tutto fu finito.
La letteratura, l’arte e l’archeologia ci restituiscono le biografie di queste eroine greche: seduttrici e sedotte, traditrici e tradite, vittime e carnefici, grandi e meschine come grandi e meschini possono essere gli esseri umani.