Domenica 5 Maggio 2024

Io, Checco Zalone, faccio ridere coi migranti

Arriva l’attesissimo “Tolo Tolo”. "La mia è una commedia. E il naufragio di un barcone diventa musical"

Zalone sul set di Tolo Tolo

Zalone sul set di Tolo Tolo

Roma, 28 dicembre 2019 - È il racconto di un italiano che, scappato dal suo paese per sfuggire a tasse e creditori, si trova in Africa quando scoppia una guerra. Lui vorrebbe restare perché, dice, meglio l’Isis dell’ex moglie, ma è costretto ad andare via e affrontare quel viaggio che tanti migranti compiono in cerca di salvezza, attraversando deserti e mari. Un viaggio che Checco Zalone racconta naturalmente alla sua maniera, sempre puntando a divertire, in Tolo Tolo, il suo quinto film, il primo che firma anche come regista usando il suo vero nome, Luca Medici.

Un film molto atteso, in uscita il primo gennaio in ben 1250 sale, sia perché Zalone è finora sempre riuscito a risollevare le sorti del cinema italiano con incassi stratosferici, sia per le polemiche che l’hanno preceduto. Ma se il trailer con la canzone Immigrato ha fatto piovere addosso a Zalone accuse di razzismo (non sono mancati però attestati di stima e solidarietà), con il film questo non dovrebbe accadere perché chi ne esce peggio sono certi italiani ignoranti e cialtroni. Un ritorno al cinema per Zalone dopo quattro anni, girato in 20 settimane tra Kenya, deserto del Marocco, Malta, Puglia, Roma e Trieste. Zalone firma soggetto e sceneggiatura con Paolo Virzì.

Come nasce il film? "Cercavo un’idea e Paolo ha portato un soggetto sul quale abbiamo poi lavorato insieme per un anno e mezzo. E più ci lavoravamo, più io lo facevo mio. Mi rendevo conto che glielo stavo rubando e che lo scrivevo su di me. A quel punto mi è sembrato naturale curarne anche la regia".

Com’è stata questa prima esperienza da regista? "Avere la responsabilità di tutto è faticosissimo. Siamo stati anche sfortunati perché abbiamo avuto molte giornate di pioggia nel deserto e ci hanno detto che non succedeva da vent’anni. Comunque, nei precedenti quattro film diretti da Gennaro Nunziante, un po’ di pratica l’avevo già fatta".

Si aspettava tutte le polemiche scatenate da “Immigrato”? "Sì ma non fino a questo punto. Non fino a farmi finire nelle prime pagine dei giornali e come tema di dibattito nei talk show. Forse la scena del film che potrebbe colpire qualche sensibilità è quella sorta di balletto acquatico cui danno vita i migranti in mare."

Timore di altre reazioni? "La scena in cui il barcone dei migranti viene affondato dalle onde è un momento onirico, ne ho fatto una sorta di musical con una canzone di speranza. Si rischiava di cadere nel cinismo, nella presa in giro, o al contrario nel moralismo, nella ruffianata. Ma l’ho spiegata ai ragazzi che dovevano interpretarla, e loro si sono commossi".

Ha detto che per il politicamente corretto imperante, se facesse oggi alcune imitazioni di dieci anni fa, verrebbe arrestato. Come si è arrivati secondo lei a questo? "Naturalmente parlare di arresto era un’iperbole. Il fatto è che oggi ci sono i social che funzionano da megafono, amplificano critiche che magari vengono da un ristrettissimo numero di persone e che poi i giornali riprendono. Io, comunque, non ne ho sofferto. Un po’ mi sono divertito e poi cinicamente ho pensato che era anche un bel battage per il film. Solo una critica proprio non accetto".

Quale? "Quella di sessismo. Nel film non ho spogliato nessuno, non c’è nemmeno una doccia e non mostro mai nemmeno un seno di Idjaba, la bella Manda Touré per la quale ho costruito un personaggio intenso, interessante. Tutto, ma maschilista no".

Con “Quo vado?” ha incassato la cifra record di 65milioni e 200mila euro. Quanta pressione ha avvertito, sapendo cosa ci si aspetta da lei? "Da uno a dieci? Dieci. Inutile fare gli ipocriti, Valsecchi ha speso un sacco di soldi e quindi bisogna incassare".

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