Belafonte, la lunga canzone della lotta al razzismo

L’artista americano è morto ieri a 96 anni. Una vita di successi, sulle note di “Matilda“ e “Day-O“. E di impegno per i diritti civili

Belafonte, la lunga canzone della lotta al razzismo

Belafonte, la lunga canzone della lotta al razzismo

di Giovanni

Bogani

"Day-O!!!! Daaaaaaayy-oo!!!". "Day! Is a day, is a day, is a day, is a day-oo". Quell’urlo, quel grido. La Banana Boat Song, il calypso. Quel ritmo che sa di mare, di barche e di coralli, di Caraibi. E quella voce rauca, esplosiva. La voce di Harry Belafonte. Morto ieri, a 96 anni, per una crisi cardiaca. Voce meravigliosa, attore carismatico, amico di Martin Luther King, di Fidel Castro, di Nelson Mandela: grande protagonista nelle battaglie per i diritti civili. Molto più che un dominatore della scena musicale e cinematografica. Lui, grandissimo nella musica, è stato ancora più grande per la storia della società del Novecento. Per l’evoluzione dei rapporti sociali nel mondo intero.

"Non sono un artista diventato attivista. Sono un attivista che è diventato un artista", dichiara nella sua autobiografia, My Song. "Da quando mia madre l’ha instillato in me, ho profondo il senso dell’ingiustIzia, e sento il bisogno di combatterla dovunque la riconosca". Così, negli anni ’60, Belafonte è in prima fila con Martin Luther King nelle marce per i diritti civili. È lui fra gli organizzatori della marcia che porta a Washington trecentomila persone in piazza, e che culminerà con il discorso di Martin Luther King "I have a dream" , che divenne iconico, per sempre.

Il suo successo immenso come cantante gli permette di promuovere e organizzare, nel 1985, il Live Aid e We Are the World, la canzone che diventò l’inno della lotta contro la fame in Africa. Un brano cui partecipano Bob Dylan, Bono Vox, Michael Jackson, Bruce Springsteen: vincerà il Grammy come canzone dell’anno, e permetterà di raccogliere fondi per l’Etiopia afflitta dalla carestia. Instancabile, Belafonte conduce una campagna contro l’apartheid in Sudafrica, fa amicizia con Nelson Mandela. Sarà in prima fila per la ricerca e la lotta contro l’Aids.

Da dove nasce tutto questo? Da lontano. Era nato ad Harlem, il quartiere afroamericano di New York, l’1 marzo 1927, col nome di Harold George Bellanfanti Jr. I genitori erano giamaicani. L’infanzia e l’adolescenza sono divise fra New York e Kingston, in Giamaica. La povertà è l’unica certezza. Il padre abbandona la famiglia, la madre lavora come domestica per assicurare la sopravvivenza. Le sonorità dell’isola gli restano nell’anima. Belafonte le porta dentro la sua canzone più celebre, The Banana Boat Song, cioè "Day-O", inclusa nel suo Lp Calypso, il primo album a superare il milione di copie vendute. Era il 1956. Improvvisamente, l’America si innamorava di quelle sonorità, dei ritmi caraibici, del botta e risposta fra cantante e pubblico. "Ma quella è una canzone di lavoro", spiegava Belafonte. "Parla di uomini che faticano tutto il giorno, vengono pagati pochissimo, e implorano il capo di contare onestamente quante banane hanno raccolto, così che possano essere pagati. Ma qualche volta venivano pagati solo in rum, come dice il testo. La gente balla al ritmo della canzone, ma non capiscono che è un canto di lotta e ribellione".

La sua carriera di attore inizia nel 1953. Divenne anche una star del cinema, grazie all’adattamento cinematografico del musical Carmen Jones, che gli vale il primo dei suoi molti premi, un Tony Award come attore non protagonista in un musical. È il primo attore di colore a ricevere un Tony. È stato anche il primo uomo di colore a ricevere un Emmy Award, l’Oscar tv, per il suo speciale Tonight With Belafonte nel 1960. La sua carriera si prolunga fino al 2018, quando appare nel film di Spike Lee BlacKkKlansman, in concorso al festival di Cannes.

Ha vinto tre Grammy Award negli anni ’60, un Grammy Award alla carriera nel 2000. Ha una star sulla Hollywood Walk of Fame e ha ricevuto un Oscar per meriti umanitari nel 2015. È stato nominato ambasciatore di buona volontà Unicef nel 1987. Fino all’ultimo, lottò per quello in cui credeva. Cinquant’anni dopo le marce con Martin Luther King, Belafonte fu il presidente onorario della marcia delle donne su Washington, nel 2017, all’indomani dell’insediamento di Donald Trump. "Ho sempre guardato al mondo chiedendomi: che cosa si può fare per cambiarlo? Ed è in quel modo che lo guardo ancora oggi", disse nel documentario del 2011 Sing Your Song.

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