Giovedì 7 Novembre 2024
MATTEO MASSI
Magazine

A Montreal, inseguendo la poesia di Cohen

Viaggio sulle orme del cantautore: il plettro incastonato nella tomba dove riposa, la chiesa con la Madonna dei marinai dove nacque “Suzanne“

A Montreal, inseguendo la poesia di Cohen

Leonard Cohen (21 settembre 1934, Westmount-Montreal - 7 novembre 2016, L.A.)

MONTREAL

Non c’è una crepa, ma tra le fronde dei due alberi che osservano fieri la lapide i raggi del sole riescono a filtrare e arrivano a picco proprio sulla tomba di Leonard Cohen. Lui è sepolto nel cimitero ebraico Shaar Hashomaym di Montreal. Non distante dal Mount Royal che si staglia sulla città, in cui nacque. E la vita di Cohen a Montreal è praticamente tutta raccolta in un fazzoletto di una manciata di chilometri. Partendo dalla fine, la sepoltura avvenuta nel 2016, per arrivare all’inizio: ottandue anni prima.

Trovare la tomba di Cohen nel cimitero ebraico di Montreal non è difficile. Si entra, basta girare il proprio sguardo sulla destra e non farsi distrarre da le tante lapidi con scritto Cohen a sinistra e poco dopo all’orizzonte si vedono pietre impilate, fin dove è possibile per restare in equilibrio. Sono le pietre – che come da tradizione ebraica – vengono deposte sulle tombe: servono a ricordare i defunti ma anche le origini del popolo. Sono imperfette, di diverse dimensioni e anche colorate. C’è chi si firma, come Rasmusen arrivato dalla Danimarca fino a qui per omaggiare Leonard Cohen. Non c’è un pellegrinaggio, quasi obbligato, come a Parigi per la tomba di Jim Morrison. Ma ci sono comunque pezzi di vita di chi l’ha ascoltato in un concerto, di chi si è innamorato con una sua canzone, di chi ha iniziato a suonare. In bella vista infatti, c’è un plettro della chitarra incastonato nella piccola custodia per resistere alle intemperie. Poco più in là c’è una lattina di birra canadese, un po’ ammaccata. E attorno alla lapide ci sono le pietre che non sono riuscite a rimanere in equilibrio. Qui, il corpo del 82enne Cohen arrivò nell’autunno del 2016 dopo la sua dipartita a Los Angeles, l’ultima sua casa. Ma la casa di Montreal invece è nel quartiere portoghese. Proprio in faccia al Park of Portugal: un po’ di giochi per bambini e dall’altra parte della strada una fila di locali, tra cui il caffè in cui Cohen andava a mangiare i bagel. L’abitazione è anonima, a ricordare che lì è passato Cohen c’è un mucchio di pietre e sulle due più grandi le iniziali L. C. sovrastata dalla parola Shalom. Pace.

Cohen era figlio di un polacco e di una lituana, una coppia ebraica che dall’Est dell’Europa era emigrata in Canada. Leonard perse il padre quando aveva 9 anni e il mondo era già in guerra. La madre era la figlia dello scrittore talmudico Solomon Klonitsky-Kline. Westmount è la parte anglofona di Montreal e poco distante da lì c’è un’istituzione universitaria come la McGill: Cohen studiò letteratura inglese in quella facoltà. E prima d’imbracciare la chitarra e mettere in musica i suoi versi, iniziò da Montreal proprio come poeta. La sua prima composizione che mette insieme parole e musica, è una reading del 1957 ed esce col titolo “Six Montreal Poets“. La parte più antica della città, quella dove vengono esaltare ora le bellezze del porto vecchio, è comunque fonte d’ispirazione per le sue (future) canzoni. Come lo fu per le sue prime poesie. Non molto distante dall’old port infatti, c’è una chiesa, è Notre Dame de Bon Secours Chapel, la chiesa dei marinai, l’approdo sicuro per chi aveva sfidato da poco l’acqua.

È lì, nell’estremità della Vieux-Montreal che prende forma e si materializza la Suzanne (1967) di Leonard Cohen (che Fabrizio De André tradurrà poi in italiano). La chiesa ha una statua della Madonna che si chiama Our Lady of the Harbour, la nostra signora del porto. Le braccia larghe della statua in oro, posta in direzione del mare (che mare non è, ma il gigantesco fiume San Lorenzo, gli oltre mille chilometri che delimitano il confine tra Stati Uniti e Canada), sembrano accogliere chi è appena sbarcato, chi è arrivato a destinazione. Cohen in quella chiesa un giorno ci arrivò con una delle Suzanne della sua vita: Suzanne Verdal, una ballerina. Una relazione che ondeggia tra il desiderio, la passione carnale e la spiritualità. Una magnifica ossessione. Nella canzone Gesù è un marinaio finché cammina sull’acqua ("And Jesus was a sailor / When he walked upon the water"). E Suzanne invece "ti vuole accanto nel suo posto in riva al fiume". Anche se poi alla fine sarà un’altra Suzanne (Elrod, di cognome) a diventare la compagna di Cohen e poi madre dei due figli (Adam e Lorca).

Ma l’amore di tutta la sua vita resterà per sempre Marianne, quando Montreal era già distante e il mare era quello greco dell’isola di Hydra. Il destino ha voluto che morissero a quattro mesi di distanza. Nel luglio del 2016, salutò per sempre Marianne così: "Credo che ti seguirò presto. Ti sono così vicino che, se allungassi una mano alle tue spalle, potresti toccare la mia, sappilo. Ci vediamo in fondo alla strada". E il fondo della strada per lui sarebbe arrivato il 7 novembre del 2016, a Los Angeles. Nel frattempo spingendo lo sguardo dall’alto di Mount Royal sotto quei grattacieli che provano a tendere all’assoluto, avvicinandosi, ma senza mai riuscirci, perché sono terreni, opera dell’uomo, c’è un murale che su una facciata di uno di questi grattacieli raffigura proprio l’ultimo Cohen. Cappello un po’ inclinato, come sempre in testa, e mano appoggiata sul cuore. Più di un’icona nel cuore pulsante della sua Montreal.