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Toulouse-Lautrec e la ‘sua’ Parigi in mostra a Rovigo

Con dipinti, affiche, litografie e disegni: dal 23 febbraio al 30 giugno 2024 a Palazzo Roverella l’arte del grande maestro francese

di MARINA SANTIN -
11 febbraio 2024
Henri de Toulouse-Lautrec, Confetti (Coriandoli), 1894

Henri de Toulouse-Lautrec, Confetti (Coriandoli), 1894

“Non esiste che la figura, il paesaggio è nulla, non dovrebbe che essere un accessorio. Il paesaggio dovrebbe essere usato solo per rendere più intellegibile il carattere della figura”. Così affermava Henri de Toulouse-Lautrec, pittore francese - considerato il primo artista ad avere rappresentato fedelmente il mondo in trasformazione della Parigi di fine ’800 - che delle figure, ha fatto il fulcro delle sue opere ritraendo quasi esclusivamente le persone che frequentava nella quotidianità: ballerine di teatro e cabaret, prostitute, tenutarie di bordelli, spiantati e alcoolisti. I protagonisti delle notti dell’eccentrico quartiere di Montmartre, dove trascorse la sua breve esistenza (morì a soli 36 anni), vivendo da bohémien. Ed è proprio Henri de Toulouse-Lautrec, il protagonista di una grande mostra allestita nelle sale di Palazzo Zabarella a Rovigo (dal 23 febbraio al 30 giugno 2024), promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo con il Comune di Rovigo e l’Accademia dei Concordi e a cura di Jean-David Jumeau-Lafond, Francesco Parisi e Fanny Girard (direttrice del Museo Toulouse-Lautrec di Albi), con la collaborazione di Nicholas Zmelty (sezione Manifesti e Incisioni). Superando l’approccio che spesso riduce l’artista francese, tra i più significativi del tardo Ottocento, a un universo privo di sfaccettature e alla sola attività di creatore di manifesti, “Henri de Toulouse -Lautrec”, vuole offrire una panoramica ben più ampia sull’ambiente parigino in cui operava, quella Parigi fin de siècle nella quale artisti di ogni tipo – realisti, impressionisti, simbolisti – si incontravano condividendo esperienze e momenti di vita quotidiana che ispiravano poi le loro opere.

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Un confronto ideale

Accanto a scelte tematiche (le celebri scene di bordello, che Toulouse-Lautrec deriva da suggestioni decadenti à la Rops) o a particolari raffinatezze tecniche (l’uso del pastello, che sarà prediletto da De Nittis e Degas), il vero modello esistenziale che emerge è quello della bohème con i suoi dettami libertari. Oltre ai suoi celebri manifesti, la mostra propone anche suoi dipinti e disegni preparatori, affiancandoli, in un ideale confronto, ai lavori dei numerosi artisti attivi contemporaneamente negli stessi ambienti e che altrettanto spesso affrontano le medesime tematiche. Si tratta quindi di un’attenta ricostruzione della sua intera carriera creativa che, attraverso le sue opere, mira a evocare in maniera più ampia e organica la vivacità della scena artistica parigina, superando il concetto riduttivo di Belle Époque. Accanto alle opere di Toulouse-Lautrec, in ciascuna delle sei sezioni, sarà esposta una selezione della produzione artistica dei pittori a lui più vicini o appartenenti al medesimo contesto contemporaneo. L’obiettivo è quello di ricondurre storicamente l’artista e i suoi colleghi nel più vasto ambito critico e artistico dell’epoca, rivelando affascinanti suggestioni e tangenze.

Il percorso espositivo

A dare l’avvio al percorso espositivo, la sezione “Parigi 1875-1900”, che accoglie opere di Alexandre Cabanel, Fernando Cormon, Charles Alexandre Giron, Henri Gervex, George Clairin, Jacques-Émile Blanche, Fernand Pelez e molti altri, a tratteggiare un ritratto della quotidianità della Ville Lumiere dei tempi. Nel decennio tra il 1890 e il 1900 Parigi fu uno dei principali centri culturali europei, capace di attrarre esuli stranieri, studenti e artisti dell’Europa occidentale e orientale, dell’Asia e delle Americhe. Diventa, così, un vero polo di attrazione per i giovani in cerca di nuove idee e confronti con una comunità artistica internazionale. Qui si può avere una formazione prestigiosa grazie all’École des Beaux-Arts e alle numerose scuole di pittura presenti nei diversi quartieri della città (come l’Académie Julian e l’Atelier de Fernand Cormon) e si possono anche avere concrete opportunità per esporre e vendere le proprie opere in nuovi saloni e gallerie come il Salon de la Société nationale des Beaux-Arts, il Salon des indépendants o la galleria Le Barc de Bouteville e, più tardi, il Salon d’automne. L’Esposizione universale del 1889, con la Tour Eiffel a rappresentare il simbolo più eclatante della vivacità del genio industriale francese, promuovendo un clima di pace, cooperazione e sana competizione tra i popoli, ebbe il suo più evidente riscontro proprio nella venuta a Parigi di artisti provenienti da diverse nazioni. La loro integrazione nell’ambiente artistico della capitale, che a sua volta ne influenzò la produzione, diede vita a un fervido scambio culturale che superò ampiamente le aspettative politiche.

Impressionismo, Simbolismo e Art Nouveau

È in questi anni decisivi dell’ultimo terzo del secolo che Impressionismo, Postimpressionismo, Simbolismo e Art Nouveau prendono vita a Parigi, per poi crescervi in seguito o contemporaneamente. Il complesso mélange di stili e tecniche contribuì alla rappresentazione della società parigina da ogni angolazione, offrendo uno spaccato non soltanto dell’alta società, ma anche della vita nei quartieri più popolari. Nei luoghi di ritrovo, nei bistrot, nei grandi magazzini, nei caffè e nei cenacoli intellettuali di ogni sorta, di giorno e di notte, la libertà di opinione e d’azione si affiancava alla libertà dei costumi. Si poteva andare alla Comédie Française o all’Opéra, ma anche frequentare caffè-concerto, balli e cabaret - come il celeberrimo Le Chat Noir a Montmartre, dove si incontravano gli artisti più all’avanguardia - oppure case di piacere per fumare oppio e hashish e bere assenzio.

Toulouse-Lautrec e il giapponismo

La seconda sezione, “Toulouse-Lautrec e il giapponismo” pone l’accento sul rapporto tra l’artista e questo movimento, facendolo dialogare con opere di Mary Cassat, Georges Goursat, Jacques Villon, Jean Louis Forain, Camille Pissarro, Utamaro, Hokusai, Hiroshige, Bunchō e Sharaku. Oltre all’importante ruolo svolto da intellettuali, collezionisti ed esteti – in particolare i fratelli Goncourt e Robert de Montesquiou – fu di importanza fondamentale l’apertura a Parigi di diversi negozi che commerciavano in xilografie e manufatti del paese del Sol Levante. Botteghe come La Porte Chinoise di Madame Desoye o quelle di Malinet, di Philippe Sichel e del celebre di Sigfried Bing, consentirono una ben ampia diffusione delle opere nipponiche soprattutto tra gli artisti, che iniziarono a inserire nei loro lavori paraventi, xilografie, ventagli e altri oggetti nipponici. Il giapponismo di Toulouse-Lautrec però non riguarda l’aspetto più esteriore di questo fenomeno, che offriva al pubblico ritratti e composizioni arricchiti da elementi superficiali, ma una più completa adesione a metodologie compositive e azzardi prospettici. Esempio ne siano “L’écuyère du Cirque Fernando” (1887) e i dipinti dedicati alle maisons closes, come “Le divan” e la serie delle ragazze alla toletta, che coincidono anche tematicamente con molte stampe ukiyo-e. A legare Toulouse-Lautrec a questa tendenza, l’interesse per il mondo del teatro, compresi gli attori e le figure che vi ruotano attorno, evidente già a partire dal manifesto dedicato al Divan Japonais, un cabaret parigino ornato di giapponeserie. La litografia “Reine de joie”, invece, realizzata per pubblicizzare l’omonimo romanzo dell’amico scrittore Victor Joze, oltre alla modernità con cui viene trattato il soggetto rivela una composizione più eccentrica rispetto ai normali canoni, con il taglio in obliquo del tavolo in primo piano, tipico espediente introdotto dagli artisti dell’ukiyo-e, in particolare da Kunisada e Kuniyoshi, nelle stampe dedicate al teatro kabuki e nelle stampe erotiche shunga. Toulouse-Lautrec inaugura quindi un nuovo processo di invenzione compositiva, fondato su una profonda assimilazione delle rappresentazioni dell’ukiyo-e, che segna il passaggio decisivo da un japonisme “di citazione” a un japonisme “di struttura”.

Lautrec e gli artisti spagnoli e italiani

Con opere firmate da grandi artisti, tra cui Federico Zandomeneghi, Edgard Degas, Giuseppe de Nittis, Ramon Casas, Santiago Rusiñol e Giovanni Boldini, la terza sezione, sottolinea il rapporto tra “Toulouse-Lautrec e gli artisti spagnoli e italiani”. Tra i tanti artisti europei, anche quelli spagnoli migrarono a Parigi. Qui però mantenevano intatti attitudini e stilemi, tanto che il critico francese Georges Faillet scrisse: “Rimangono nativi, Parigi li raffina, li acuisce, li soddisfa e non li deforma”. Tuttavia, come già fatto dai modernisti di prima generazione, come Ramon Casas e Santiago Rusinol, si stabilirono a Montmartre cercando di integrarsi nel sistema artistico francese. La varietà di stili e pratiche che svilupparono si mosse principalmente nell’ambito dell’illustrazione e della grafica, che aveva in Francia un mercato particolarmente sviluppato. Seppure influenzati dalla moda parigina, mantennero la loro identità culturale producendo lavori popolati da personaggi della tradizione folcloristica spagnola. Diventati soci della Société des artistes indépendants, Casas e Rusiñol esposero più volte al Salon des Indépendants insieme a Toulouse-Lautrec, ma anche al cosiddetto Salon du Champ-de-Mars della Société Nationale des Beaux-Arts, dove lo stesso artista era presente con “La danse au Moulin Rouge”.

E come gli spagnoli anche gli italiani arrivarono a Parigi attorno al 1870, attirati dai contratti con i mercanti Adolphe Goupil e Frédéric Reitlinger. Molti di loro, nonostante i tentavi di adattare la propria arte allo stile e ai temi francesi, non riuscirono ad affermarsi e finirono per lavorare, non riconosciuti, come assistenti negli atelier dei maggiori artisti locali. Tra i primi italiani espatriati, Giuseppe De Nittis, Federico Zandomeneghi e Giovanni Boldini emersero come figure di rilievo negli anni dell’impressionismo. De Nittis aveva anche fondato a Parigi la Societé des pastellistes con l’obiettivo di riportare in auge questa tecnica settecentesca e la rinascita del gusto per il pastello contribuì a far adottare questa pratica come strumento espressivo, in particolare da Degas e poi da Toulouse-Lautrec. A Giovanni Boldini si deve, invece, un celebre ritratto dell’artista francese, oggi conservato presso il Norton Simon Museum di Pasadena. L’universo di personaggi, ballerine e prostitute che animava alcuni quartieri parigini divenne centrale nella produzione di Federico Zandomeneghi e con quello stesso ambiente Toulouse-Lautrec identificò non solo la propria arte ma anche la propria vita. Una scelta che la mostra indaga con “Montmartre, le Chat Noir e Le Mirliton: l’invenzione del cabaret artistico”.

Montmartre e la pittura

Per alcuni artisti e intellettuali, ma anche per la gente del popolo, il quartiere di Montmartre rappresentava un’oasi in cui dominava uno spirito d’indipendenza tale da attrarre libertari e artisti di fronda. Negli anni ottanta dell’Ottocento, i fedelissimi del Quartiere Latino abbandonarono in parte la Rive Gauche per unirsi a Le Chat Noir sulla Butte, la collina di Montmartre, seguiti, attorno al 1884, da Toulouse-Lautrec che iniziò subito a frequentarne i teatri e i celebri caffè-concerto. Uno dei cabaret più celebri di Montmartre, era Le Chat Noir, fondato nel 1881, il suo nome derivava dal racconto macabro The Black Cat di Edgar Allan Poe, ma al tempo stesso alludeva al valore simbolico attribuito al felino, quello di una libertà artistica e sessuale “dannata” e decadente. Il locale attirò da subito la schiera degli artisti simbolisti e anche uno dei litografi più interessanti del periodo, Henri Rivière, creatore di numerosi spettacoli di théâtre d’ombres che divennero rapidamente uno degli eventi notturni e delle attrazioni più ricercate della città. La moda dei cabaret si diffuse velocemente e in breve ne aprirono molti altri, come Le Mirliton, fondato da Aristide Bruant e immortalato nei ritratti di Toulouse-Lautrec, che prese il posto del primo Chat Noir, o come il Moulin Rouge e locali simili, dal Lapin Agile al Cabaret du Néant. In tale contesto alcuni immaginarono il Salon des arts incohérents, un evento umoristico che sfidava l’arte ufficiale attraverso opere a metà tra la parodia e la ribellione – tra cui i primi monocromi della storia dell’arte, la tela nera di Paul Bilhaud e il preready-made di Alphonse Allais - scomparse da oltre un secolo e ritrovate solo di recente, nel 2018.

L’assenzio, noto come “la fata verde”, regna incontrastato su tutti questi luoghi, assicurando piacere ed evasione mentale ma anche decadimento. Questa bevanda mitica è presente in molte opere, tra cui lo spettacolare dipinto di Albert Maignan (in mostra di Rovigo). Tra effervescenza creativa e “decadenza”, la Montmartre degli anni ottanta e novanta dell’Ottocento riassume una Parigi ricca di contrasti, raccontata dalle opere di Félicien Rops, Armand Rassenfosse, Edmond Aman-Jean, Louis Anquetin, Antonio de La Gandara, Albert Maignan, Charles Maurin, Louis Morin, George Bottini, Henry Somm, Charles Laval, George de Feure, Charles Maurin, Charles Angrand, Henri Rivière, Charles Guilloux, Claude-Émile Schuffenecker, Théophile-Alexandre Steinlen, Louis Welden Hawkins, Carlos Schwabe e Marcellin Desboutin.

Il rinnovamento della grafica

Lasciati Montmartre e la pittura, si passa alla sezione “Il rinnovamento della grafica”. Dal 1890 ai primi anni del nuovo secolo, la litografia si diffuse in Francia con una complessa pluralità espressiva che andava dal simbolismo all’Art Nouveau, includendo le ricerche postimpressioniste e il sintetismo Nabis, e i lavori di quegli artisti che decoravano i muri della città: da Toulouse-Lautrec a Jules Chéret fino ad Alfons Mucha. Nacquero anche varie iniziative editoriali, come quella promossa da André Marty che, a marzo 1893, iniziò a pubblicare a cadenza trimestrale una serie di incisioni realizzate con varie tecniche intitolata L’estampe originale, a sottolineare che non si trattava di incisioni di riproduzione, le vulgaire chromo, ma di opere grafiche create direttamente dagli artisti. La scelta di Marty, che ebbe un notevole successo commerciale e contribuì al revival della litografia, riflette pienamente la moda japoniste e può contare sul contributo di Henri-Gabriel Ibels e di Toulouse-Lautrec. La grafica ebbe grande peso nell’opera di Toulouse-Lautrec. Oltre alla consueta pratica del disegno, propedeutica ai dipinti, l’artista si dedicò all’illustrazione, all’incisione e al manifesto, grazie al quale, nonostante l’esiguo numero di affiches realizzate (trentadue in tutto) divenne uno dei più moderni rappresentanti di questo mezzo di comunicazione accanto ai celebri Alfons Mucha, Eugène Grasset e Théophile-Alexandre Steinlen. Le stampe xilografiche giapponesi furono fondamentali per lo sviluppo del suo stile, basti pensare che la litografia del 1893 “Le divan japonais”, sfrutta proprio i dispositivi artistici giapponesi- la prospettiva falsata, i tre piani di rappresentazione, le silhouette – restituendo un’immagine straordinaria della vita intellettuale e culturale della Parigi fin de siècle. Ritrae infatti, la ballerina Jane Avril in compagnia del critico d’arte Édouard Dujardin e, sullo sfondo, la nota cantante Yvette Guilbert. I colori brillanti, le forme e i contorni netti delle modelle e delle ballerine divennero una sorta di icona della Parigi moderna. In soli dieci anni, fino alla sua morte, nel 1901, l’artista francese produsse 368 stampe e manifesti litografici ai quali attribuì sempre un’importanza pari a quella dei suoi dipinti e disegni.

Accanto all’opera completa dei manifesti di Toulouse-Lautrec saranno esposte le opere di Jules Chéret, Eugène Grasset, Alfons Mucha, Théophile-Alexandre Steinlen, Henry-Gabriel Ibels, Adolphe Léon Willette, Pierre Bonnard, Firmin Bouisset, Caran D’Ache, Alfred Choubrac, George de Feure, Clémentin Hélène Dufau, Fernand Fernel, Henry Gerbault, George Meunier, Felix Vallotton e Alfredo Muller.

L’arte italiana del Novecento

L’ultimo “capitolo” della mostra si sofferma su “Toulouse-Lautrec e gli sviluppi dell’arte italiana del Novecento”. Con il suo tratto nervoso e grafico, i colori intensi e vibranti, le ambientazioni urbane e il mondo dei caffè, e con i dipinti e le litografie, Henri de Toulouse-Lautrec continuò a fornire modelli artistici anche dopo la sua morte, attirando l’attenzione di artisti italiani negli anni precedenti il primo conflitto mondiale e, in alcuni casi, anche durante il secondo decennio del nuovo secolo. Nonostante l’impianto del manifesto artistico italiano fosse fortemente legato al tardo naturalismo, alle suggestioni simboliste e alle influenze dell’Art Nouveau, alcuni artisti colsero la libertà espressiva che aveva caratterizzato l’opera di Toulouse- Lautrec in quel particolare momento che preludeva alla nascita delle avanguardie storiche. Tra questi Ugo Valeri, Giorgio Kienerk, Aroldo Bonzagni, Luigi Bompard, Alberto Chappuis, Filiberto Scarpelli, Enrico Sacchetti e Anselmo Bucci, tutti esposti a Palazzo Roverella.