Mosca, 3 marzo 2022 - Prime crepe nella Chiesa ortodossa russa, legata a doppio filo al Cremlino che una settimana fa ha scatenato l'invasione dell’Ucraina. La decisione dello zar Putin di muovere l’assalto non ha finora incontrato la resistenza del patriarca di Mosca, Kirill – primate di una comunità cristiana autocefala che conta oltre 150 milioni di fedeli in tutto il mondo –, ma, col passare delle ore e l’aumentare delle vittime su entrambi i fronti, agita (e non poco) la base dell’ortodossia. Il pressing sul patriarca si fa sempre più intenso, affinché alzi la voce a favore della pace tra due popoli fratelli. Anche sul piano religioso, se è vero che in origine, sino all'occupazione mongola a cavallo tra il XIII e il XV secolo, il patriarcato ortodosso russo aveva sede a Kiev, non a Mosca. A smuovere le acque sono stati per primi 236 chierici, fra sacerdoti e diaconi, della Chiesa ortodossa russa che, in una lettera, definiscono la guerra in Ucraina "fratricida" e chiedono un immediato cessate il fuoco. "Piangiamo il calvario a cui i nostri fratelli e sorelle in Ucraina sono stati immeritatamente sottoposti", si legge nel documento sottoscritto anche da un monaco italiano in servizio a Mosca, padre Giovanni Guaita. "Nessuna autorità terrena, nessun medico, nessuna guardia ci proteggerà dal giudizio universale – continua la missiva rilanciata in Italia dal portale della Santa Sede, 'Vatican News' –. Preoccupati per la salvezza di ogni persona che si considera un figlio della Chiesa ortodossa russa, non vogliamo che arrivi a questo giudizio, portando il pesante fardello delle maledizioni materne". La lettera al momento non riporta la firme di metropoliti, le autorità di vertice della gerarchia ortodossa. Queste restano, almeno in pubblico, sulla linea di Kirill che ha preferito non andare oltre appelli generici per la salvaguardia dell'incolumità dei civili. È la ...
© Riproduzione riservata