Mercoledì 24 Aprile 2024

Effetto smartphone: scrivanie libere

Studio sulla dematerializzazione. Così la tecnologia dà una mano al pianeta

Steve Jobs presenta il primo iPhone, il 9 gennaio 2007 (Afp)

Steve Jobs presenta il primo iPhone, il 9 gennaio 2007 (Afp)

Boston, 17 luglio 20189 - Non ditelo a Greta. Perché la sua campagna per salvare il pianeta potrebbe subire una battuta di arresto. Anche se, a ben guardare, quella che state per leggere potrebbe, comunque, essere una buona notizia per il futuro della Terra. E sapete chi dovremmo ringraziare? Nientepopodimeno che Steve Jobs. Sì proprio lui, l’inventore dell’Iphone. Potrebbe essere lo smartphone venuto alla luce dodici anni fa (correva l’anno 2007) a contribuire alla riduzione dei consumi dell’energia elettrica e di parte dell’inquinamento. 

No, non avete letto male. L’Iphone (e più in generale tutti gli ultimi ritrovati della tecnologia moderna) secondo uno studio, pubblicato su Wired, condotto dal professor Andrew McAfee, che co-dirige un centro di ricerca dell’MIT (Massachusetts Institute of Technology) di Boston che studia l’impatto delle tecnologie nell’economia mondiale, potrebbe far bene al pianeta. Ma come? Per costruire milioni e milioni di smartphone, tablet e iWatch è necessario l’utilizzo di metallo, plastica, vetro e di altri materiali in grande quantità, alcuni dei quali piuttosto rari. Non solo. Per funzionare tutti questi device hanno continuamente bisogno di energia elettrica (tanto che si stima che gli utenti che fanno un uso intenso del proprio iPhone in un anno consumino più energia di un frigorifero). Eppure, nonostante gli allarmi lanciati dall’European Chemical Society (che raggruppa più di 160mila chimici di 40 associazioni di tutto il mondo), per il professor McAfee i benefici prodotti dall’introduzione degli smartphone sono maggiori del consumo di materia prima e di energia elettrica. E sapete perché? Perché, proprio grazie all’Iphone, si risparmia plastica, metalli, carte e tanti altri materiali, oltre all’energia, che prima servivano per produrre oggetti oggi inglobati dalle app. Basta fare un esempio. Pensate alle scrivanie di lavoro degli anni Ottanta piene di utensili: computer, block notes, calcolatrici, fax, orologio, calendario, cartelline e anche una bacheca con appese alcune fotografie. Oggi tutto quello che rimane sono un laptop e uno smartphone. Tutto gli altri oggetti sono stati sostituiti, diventando applicazioni o parte stessa dei sistemi operativi degli smartphone. E sarebbe proprio questo processo, noto con il nome di ‘dematerializzazione’, secondo il docente del Mit, a contribuire alla riduzione dei materiali necessari al funzionamento dell’economia di una società e, quindi, a salvare il pianeta.

E per spiegare questo fenomeno il professor McAfee fa riferimento proprio al cellulare lanciato sul mercato, nel 2007, da Steve Jobs. E, citando un articolo apparso nel 2017 sull’Huffington Post dello scrittore Steve Cichon, il docente invita a ripensare diversamente ai 2 miliardi di iPhone prodotti negli ultimi anni. "Dovremmo pensare a quante materie prime si sono risparmiate – evidenzia – permettendo alle persone di avere nelle proprie tasche un oggetto che comprende una serie di oggetti tutti insieme contemporaneamente". Ma l’Iphone è solo il punto di partenza. Secondo McAfee, infatti, il progresso tecnologico ha riguardato non solo gli smartphone ma tutta la produzione, da quella industriale a quella agricola. "Tutte queste tecnologie – conclude – richiedono una gran quantità di elettricità, ma al tempo stesso fanno risparmiare molta energia all’economia in generale. È per questo motivo che il consumo di elettricità è stabile negli Stati Uniti e l’uso totale di energia è poco più alto rispetto agli anni che hanno preceduto la crisi economica". McAfee nel su studio tralascia alcuni aspetti, ma forse grazie alla ‘dematerializzazione’ avremo finalmente un rapporto diverso e più sano con l’ambiente che ci circonda.