Venerdì 26 Aprile 2024

Barack e Putin, alleati senza fiducia. L'altalena di una strana coppia

Dal 'reset' nucleare alle tensioni su scudo missilistico e nuova Nato

Incontro Putin-Obama (Olycom)

Incontro Putin-Obama (Olycom)

Roma, 29 settembre 2015 -AVESSE contato, fra gli innumerevoli antenati e parenti di sangue o d’adozione – irlandesi, tedeschi, kenyoti, indonesiani – almeno un russo, forse Barack Obama non si troverebbe condannato all’altalena di alti e bassi che vive nelle sue relazioni col pokerista Putin. Il problema non è solo suo. I presidenti americani non hanno mai capito i russi: si sono limitati a diffidarne. Reagan ci riuscì benissimo, tanto che Gorbaciov – per nulla intenzionato a liquidare, ma solo a riformare l’Unione sovietica – a furia di appoggiarsi politicamente al vuoto offertogli dalla Casa Bianca franò sotto il capannone marcio dell’Urss. Bill Clinton non fu da meno.

NEGANDO fiducia al momentaneo entusiasmo russo per la ritrovata libertà, negli anni Novanta Bill non incoraggia Mosca nel suo cammino autoritario verso il libero mercato e impugna invece le ricette economiche trovate nei cassetti di Reagan. Cioè prende per il collo Boris Eltsin. In cambio dei prestiti, impone la privatizzazione accelerata e caotica dei colossi statali sovietici, fa esplodere i prezzi e la povertà, e punta su misteriosi oligarchi che a Washington scambiano per neocapitalisti d’impresa. La Russia sprofonda nella mafia mentre Bill infligge all’alcolico Eltsin il primo allargamento della Nato verso est. Bush figlio, a sua volta, non è fatto per dialogare con i russi. Nel 2002 esce unilateralmente dal trattato di difesa anti-missili balistici. Al Cremlino, però, ora c’è Putin.

PER CAPIRE come mai Obama, primo presidente anagraficamente estraneo alla Guerra fredda, sia stato irremovibile sui dossier più odiati da Mosca, cioè l’espansione della Nato a est e la creazione dello scudo missilistico alla frontiera russa, bisogna rifarsi a una delle chiavi fondamentali di comprensione del sistema internazionale: l’umiliazione. Onnipresenti nella storia, le umiliazioni lasciano tracce indelebili nei popoli, e forgiano leader revanscisti o populisti.

La Russia resta, sulla carta, l’unico paese in grado di incenerire gli Stati Uniti in un conflitto termonucleare. Delle sue migliaia di testate nucleari, alcune possono finire sottobanco a Stati come l’Iran o semplicemente ai terroristi. Ecco allora che Obama scopre il ‘reset’ nelle relazioni fra i due Paesi. Il trattato Start sul disarmo nucleare e l’appoggio Usa all’ingresso della Russia nel Wto segnano la nuova era di collaborazione. Putin utilizza come avatar il giovane e simpatico Medvedev, che Obama porta da McDonald’s. È il 2011, il punto più alto dell’intesa. Ma il reset procede in modo selettivo. I negoziati sullo scudo non avanzano e la Nato guarda a Georgia e Ucraina. Il 2011 è anche l’anno delle primavere arabe, benedette da Obama ma non da Mosca, già dubbiosa sull’eliminazione di Saddam. È l’anno dell’esplosione della Libia e della guerra civile in Siria. Un Putin insofferente ascolterà Obama affermare all’Onu, nel settembre 2013: "Io credo che l’America sia eccezionale. Abbiamo dimostrato con sacrifici di sangue e economici di perseguire l’interesse di tutti". Lo zar risponderà sui media rivelando il peso del fattore umiliazione: "È molto pericoloso incoraggiare le persone a sentirsi ‘straordinarie’. Ci sono paesi grandi e paesi piccoli, ricchi e poveri, paesi dalla lunga tradizione democratica e paesi che ancora cercano la loro strada verso la democrazia. Le politiche sono diverse. Noi tutti siamo diversi". Lo zar accentua la critica alla ‘decadenza occidentale’, difende la religione e le leggi anti gay. La prova di forza in Crimea è dietro l’angolo.