Sfax (Tunisia), 28 novembre 2023 – “Cosa ti aspettavi, un pirata?”. Il giovane uomo sorride e si toglie gli occhiali da sole neri, cattivi, stile contractor. Fa cenno di sedersi a uno dei tavolini di un anonimo caffè alla periferia di Sfax. Niente nomi, niente foto. È tunisino, grossomodo trentenne, parla un discreto francese. Ed è un trafficante. Un passeur. O come dicono in Tunisia, un harka. Gli harka di questi tempi rischiano molto perché la Guardia Nazionale dà loro letteralmente la caccia. E quindi sono elusivi. Un ivoriano di nome Mamadou incontrato sotto uno dei tanti alberi d’ulivo di El Amra assieme a simpatici e chiassosi compagni di strada del Mali e del Niger, ci manda da un altro migrante, un giovanissimo ma scafato ragazzo burkinabè che fa da camo per i trafficanti. E dopo lunghe trattative riusciamo a fissare un appuntamento con un harka, in una delle più anonime pieghe della periferia di Sfax. Parla come se fosse un flusso di coscienza, manco servono le domande, all’inizio.
“Oggi – dice – chiediamo dai 2 ai 3mila dinari (600-900 euro, ndr) per un posto su un barchino in metallo, il doppio se il barchino è in legno, con massimo una trentina di persone, e con due motori. Per ogni movimento l’utile è del 50-60%”. O il doppio, lo interrompiamo. Lui fa un smorfia, solleva verso l’alto le mani. “Inshallah”, se Dio vuole, è la risposta. “I migranti – prosegue – preferiscono partire da qui rispetto alla Libia perché lì la Guardia Costiera, che è praticamente una cosa sola con i trafficanti, li sequestra e li tortura se non si fanno mandare soldi dalle famiglie. Qua al massimo la polizia li picchia un po’, ma manco sempre, e al massimo li rimanda indietro nel deserto libico o algerino. Per questo, e per il fatto che da qui il viaggio verso Lampedusa dura la metà, venivano fino a Sfax”. Venivano? Le campagne di El Amra sono piene di migranti. “Venivano – insiste – perché ormai il momento buono è finito. Purtroppo il business ha tirato molto per tutto l’anno, e qui a Sfax ci abbiamo guadagnato il giusto in parecchi, anche gente rispettabile che ci metteva i centomila dinari per comprare le barche, ci finanziava, ma ora la pacchia sta finendo. Il presidente Saied è stato abile, ci ha sostanzialmente usato per fare l’accordo con l’Unione europea, per farvi impaurire, e ora ha dato ordine alla Guardia Nazionale di bloccarci. Francamente, abbiamo paura, io non voglio finire in carcere, e quindi con altri amici ci stiamo sganciando. Ci spartiamo queste migliaia che ci sono rimasti e addio”.
Sorseggia il caffè (“Come è l’espresso tunisino? Come in Italia?”, ci chiede. Insomma) e se la prende con i trafficanti libici, che si rifiuta di chiamare colleghi. “Vogliono riprendersi il flusso – dice – non gli va bene che noi guadagniamo alle loro spalle. E quella è gente che spara. Hanno già dato disposizioni perché i carichi di migranti (‘carichi’, come se fossero merce, ndr) che arrivano dal deserto, restino in Libia. Tira di nuovo il porto di Sabratha. Peggio per i migranti, che da lì la traversata è più lunga, pericolosa e cara. Ma poi per voi – ride – cambia poco: sempre in Italia arrivano”. Quelli che arrivano.
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