Giovedì 25 Aprile 2024

Italiani in Ucraina: "Si battono contro l’Europa Ma non vengono per soldi"

Vittorio Nicola Rangeloni, da tre anni sul fronte

Vittorio Nicola Rangeloni

Vittorio Nicola Rangeloni

Roma, 19 aprile 2018 - "Adesso ci saranno cinque o sei italiani, a combattere per il Donbass. Tutti uomini. Non sono solo sulla linea del fronte, qualcuno è anche con la Polizia. Se guardiamo nell’arco dei tre anni, probabilmente si arriva forse a 20-25. Ma ricordiamo almeno altrettanti hanno combattuto o combattono per gli ucraini, in particolare per i battaglioni estremisti non regolari come Pravy Sektor o il Battaglione Azov. Ma attenzione a farne una questione ideologica, almeno per chi difende il Donbass: con noi c’è gente di destra e di sinistra, destra e sinistra sono concetti che in questa guerra si perdono. Qui non si combatte né per il comunismo né per il fascismo. E neppure in Ucraina la componente fascista, nonostante quel che si dice, è preponderante, anzi, sono una minoranza ma servono a svolgere una funzione di provocazione a fare il lavoro sporco, come carne da macello al fronte".  Vittorio Nicola Rangeloni ha 26 anni ed è di Lecco. Ex blogger, da tre anni è nel Donbass: "Io sono per metà russo, mio nonno ha combattuto come comandante di battaglione contro i nazisti, ero stato a Kiev dopo la rivoluzione, e ho capito quello che stava succedendo, le ingerenze occidentali, non potevo essere indifferente". Ora lavora nell’agenzia del ministero dell’Informazione della Repubblica Popolare di Donetsk.

Combatte?

"No, non combatto, sono impegnato nella guerra dell’informazione. Che non è meno importante: l’informazione è l’arma più potente. Anche questo, raccontare la verità, è oggi un modo di combattere una guerra". 

Quando sono arrivati nel Donbass i primi italiani?

"All’inizio della guerra, nel 2014. Poco più di una decina. Poi alcuni se ne sono andati, altri sono venuti".

Combattono per soldi?

"No di certo, lo stipendio per chi combatte è nell’ordine dei 250 euro: facendo il muratore in Italia guadagnerebbero quattro volte tanto".

E allora perchè, per scelta ideologica? 

"Vogliono sostenere questa causa. È una scelta ideale. Chi combatte con noi è contro l’Unione Europea, la Nato. È per l’autodeterminazione dei popoli. Sostiene questo popolo orgoglioso e fiero, che difende la sua identità. E può essere di destra o di sinistra. Non conta". 

C’è ancora gente come Gabriele Carugati, di Varese, nome di battaglia Arkangel? O Antonio Cataldo?

"Gabriele è rientrato in Italia e così Cataldo".

E Massimiliano Cavalleri di Brescia, nome di battaglia Spartaco, ex Folgore, una storia come militante di destra che combattendo con il vostro battaglione Vostok nel 2015 fu anche ferito?

"Lui è qui e continua a svolgere il suo lavoro con le forze di autodifesa della Repubblica. Per quanto ne so dovrebbe essere al fronte. È stato uno dei primi a venire qui, è una colonna".

Edi Ongaro, un militante comunista?

"È ancora qui ma si è congedato, non fa più parte dell’esercito". 

In molti l’hanno cercata dall’Italia?

"Tantissimi. Forse una cinquantina di persone si sono rivolte a me. Mi scrivevano, e, a seconda dell’area di appartenenza, mi dicevano: ciao compagno, ciao camerata. Cercavano contatti, dicevano che volevano venire a combattere. Io gli rispondevo in maniera neutra, dicevo ciao ragazzi, spiegavo che non mi occupavo di arruolamenti. Trovavano da soli altri contatti. Ma credo che forse solo la metà è poi venuta davvero qui. E comunque, tantissimi volontari hanno contribuito alla causa con aiuti umanitari e collette dall’Italia. Il supporto dal nostro Paese non è stato solo militare ma anche e soprattutto umanitario".