Giovedì 16 Maggio 2024

Il conflitto di Gaza. La trattativa si arena, tregua più lontana: "Israele entrerà a Rafah"

Mediazione egiziana senza successo. Gallant: Hamas non libera gli ostaggi "Il nostro esercito si prepara a un’operazione potente, presto arriverà l’ordine".

di Aldo Baquis

TEL AVIV

La mediazione egiziana fra Israele e Hamas non ha avuto il successo sparato e, mentre proseguono le consultazioni, torna a profilarsi la minaccia di una recrudescenza nei combattimenti. "Hamas ha rifiutato ogni prospettiva per la liberazione dei nostri ostaggi – ha detto il ministro della difesa Yoav Gallant parlando da Gaza –. Le nostre forze si preparano ad una operazione potente in tutta la Striscia, in particolare a Rafah", al confine con l’Egitto. "L’ordine sarà impartito molto presto". Mentre i media rilanciavano le sue parole, da Rafah Hamas ha sparato razzi di breve gittata contro forze israeliane radunate nel vicino kibbutz di Kerem Shalom, uccidendo tre soldati israeliani e provocando una decina di feriti. Il valico per il transito dei camion umanitari è stato subito chiuso.

E da Gerusalemme il premier Benjamin Netanyahu ha emesso ieri due comunicati, entrambi di tono pessimistico. Nel primo ha accusato Hamas di aver fatto fallire le trattative del Cairo. "Le sue richieste – ha affermato – significano la resa di Israele. Dunque continueremo a combattere fino al raggiungimento di tutti i nostri obiettivi". Nel secondo, pronunciato in occasione del Giorno della Shoah (che in Israele si celebra una settimana prima del Giorno della Indipendenza) ha rilevato che nella Seconda guerra mondiale "i maggiori leader al mondo rimasero a guardare", abbandonando gli ebrei alla mercè di quanti li volevano sterminare.

Ieri la delegazione di Hamas ha lasciato il Cairo, per tenere ulteriori consultazioni in Qatar. Il punto principale della discordia rimane la richiesta di Hamas di ottenere garanzie internazionali per un cessate il fuoco permanente (di fatto, la fine della guerra) accompagnato da un ritiro totale di Israele dalla Striscia e dal ritorno di oltre un milione di sfollati nel nord di Gaza. Nell’ottica israeliana, ha spiegato Netanyahu, ciò significherebbe consentire a Hamas – dopo sette mesi di guerra – di tornare a recuperare il controllo della Striscia e di riorganizzare le proprie fila "nell’intento di organizzare nuovi ‘7 ottobre’".

A complicare la situazione è giunta la decisione del governo israeliano di chiudere temporaneamente gli uffici della tv qatariota al-Jazeera, malgrado Doha si sia impegnata per mesi in una mediazione fra Israele e Hamas. Funzionari israeliani sono entrati negli uffici di al-Jazeera a Gerusalemme est e hanno confiscato le attrezzature. "Una decisione criminale" ha commentato al-Jazeera, che ha fatto ricorso alla Corte Suprema. Secondo la emittente, in questi mesi non aveva mai ricevuto alcune rimostranza per i suoi programmi da parte dei responsabili israeliani alla sicurezza.

Questa atmosfera di crescente tensione si è innestata sul lutto nazionale che viene osservato in Israele per il Giorno della Shoah. Da quel periodo storico Netanyahu ha maturato una conclusione pessimistica: "Se non ci difenderemo da soli, nessuno ci difenderà. Se sarà necessario che restiamo soli, ci schiereremo da soli". Parole che secondo i media locali esprimono oggi una sorta di disappunto verso gli Usa, malgrado gli importanti aiuti militari a favore di Israele approvati da Biden ancora ad aprile. In effetti il suo orizzonte politico è sempre più burrascoso. In una sola settimana gli israeliani hanno appreso che mandati internazionali di cattura potrebbero essere emessi nei confronti di Netanyahu e di alti responsabili militari; che la Colombia ha rotto le relazioni diplomatiche e che la Turchia ha troncato i rapporti commerciali con Israele; che Londra ha ordinato sanzioni verso coloni ultrà in Cisgiordania; che potrebbe essere a rischio la incolumità degli israeliani in Svezia all’Eurovision, a causa di possibili attentati islamici; che si estendono le agitazioni anti-israeliane nei campus universitari americani e infine che anche le forniture militari Usa potrebbero subire ritardi se l’esercito di Israele entrasse a Rafah.