Giovedì 10 Ottobre 2024
MARTA OTTAVIANI
Esteri

Guerra in Medio Oriente, l’esperto: “Gli Usa tra due fuochi. Al fianco di Tel Aviv ma serve prudenza"

L’analista Andrew Spannaus: “Serve una soluzione diplomatica rapida altrimenti nella regione crescerà l’influenza di Cina e Russia"

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Roma, 19 ottobre 2023 – Gli Stati Uniti sono stretti fra due fuochi: mostrare aperta solidarietà a Israele da una parte, ma mantenere canali di dialogo aperti dall’altra. Andrew Spannaus, analista, fondatore di Transatlantico.info e del podcast House of Spannaus spiega quale sia la nuova strategia degli Usa in Medio Oriente, anche per tamponare la crescente ingerenza di Russia e Cina.

Spannaus, il segretario di Stato, Antony Blinken, è in Medio Oriente da più di una settimana. Ieri Biden è arrivato in Israele. Qual è la linea di Washington?

"Gli Stati Uniti da una parte devono mostrarsi forti nel loro sostegno a Israele. Questo sostegno si esprime con forti dichiarazioni di solidarietà e la fornitura di armi, accompagnata però da chiari distinguo, primo fra tutti il rispetto del diritto internazionale. In via privata, gli americani cercano di convincere Israele a non esagerare".

Sembrava che la regione fosse destinata alla normalizzazione e invece tutto è precipitato.

"Il progredire degli Accordi di Abramo aveva fatto credere che la questione palestinese non esistesse più o che potesse essere messa da parte. Chiaramente, non è questo il caso. Anche per questo motivo gli americani, pur parlando con Israele, tengono vivo il contatto con i Paesi Arabi. Ora, oltre a evitare una guerra, gli Usa devono anche fare i conti con Russia e Cina che vogliono svolgere un ruolo di mediazione come loro".

Si è parlato di una regia esterna dietro gli attacchi di Hamas per ostacolare il processo degli Accordi di Abramo.

"Io non penso che serva una regia esterna proprio per quello che gli accordi di Abramo significano per Hamas e per i palestinesi in generale. Rappresentano la fine di ogni speranza di avere uno Stato palestinese. Dall’altra parte, per ora, prendo nota delle dichiarazioni, ufficiali e ripetute, degli Usa, che dicono di non avere nessuna prova dell’aiuto da parte dell’Iran e di altri tipi di coordinamento. In sostanza, non bisogna sminuire gli apporti esterni, ma nemmeno pensare che sia dipeso tutto da questi".

Biden è volato in Israele, ma Giordania e Autorità nazionale palestinese hanno scelto di non incontrarlo. Per il presidente Usa è un bello smacco.

"Gli Stati Uniti vivono una contraddizione: vogliono cercare di tenere una posizione nettamente pro-Israele in pubblico per poi cercare di ottenere una moderazione della risposta israeliana a livello privato. Ma è chiaro che, più la situazione va avanti, più diventerà difficile essere ascoltati. Urge una soluzione diplomatica chiara in tempo breve. Difficilmente arriverà".

Biden ha raccomandato a Netanyahu di non imitare la reazione americana dopo l’11 settembre. Come vanno interpretate queste parole?

"È stato un invito alla prudenza, a non farsi guidare dalla voglia di vendetta che potrebbe portare a errori dalle conseguenze profonde e di lunga durata".

La Lega araba, in cambio di un patto di non belligeranza, potrebbe chiedere agli Stati Uniti una linea più morbida riguardo alla difesa di Israele?

"Sarebbe solo una questione di grado, ma non un grande cambiamento di sostanza. L’amministrazione Biden sta applicando lo stesso schema dell’Ucraina. Sostegno aperto, ma dietro le quinte incoraggiamento perché si pensi a una via d’uscita. Si può lavorare su questa direttrice, ma il cambiamento è troppo forte. E bisogna pensare anche alle pressioni interne negli Stati Uniti per la riconquista della Casa Bianca".