Roma, 24 novembre 2023 – Un mese e mezzo vissuto da ostaggi nelle mani di Hamas. Quali conseguenze psicologiche dovranno affrontare le donne e i bambini liberati ieri? Ne parliamo con Adelia Lucattini, psichiatra e psicoanalista a Roma. "È una delle poche volte nella storia – premette – che un gruppo di bimbi così piccoli è oggetto di un periodo di detenzione così lungo. Le ripercussioni precise potranno essere valutate soltanto nel tempo".
Dottoressa come reagisce un bambino alla prigionia forzata?
"Questi piccoli hanno subìto più di un trauma. Prima di essere rapiti potrebbero aver visto uccidere i familiari e assistito a scena di violenza. Quando un bimbo viene separato forzatamente dei genitori e tenuto in cattività – dopo una prima fase in cui piange e si dispera – entra in una sorta di congelamento delle emozioni. Una strategia di sopravvivenza, nota in psicologia come freezing. I bambini smettono di parlare, stanno fermi, si mostrano assenti, come intontiti".
Cosa invece è accaduto alle donne?
"Negli ostaggi adulti l’emozione preminente è quella della paura costante. Paura di morire, e nel caso di donne, di essere aggredite e stuprate. Alla lunga può subentrare una forte depressione che porta le vittime a chiudersi in se stesse o – viceversa –, nel momento del rilascio, a parlare incessantemente del dramma, in modo compulsivo, meccanico, quasi ’a macchinetta’".
Riusciranno, donne e bambini, a superare i traumi?
"Sarà necessario un lungo lavoro mirato. Fortunatamente gli psicologi e psichiatri israeliani sono tra i più preparati al mondo ad aiutare le vittime di prigionia. Esistono importanti studi scientifici basati sul trattamento dei superstiti dei campi di sterminio e delle loro famiglie".
Quali sono gli interventi nell’immediato?
"Le donne verranno affidate a psicoterapeuti specializzati. I bambini saranno invece accolti da soldatesse non in divisa, in un ambiente simile a quello vissuto nel quotidiano, pieno di giocattoli e suoni rassicuranti. I terapeuti si focalizzeranno su domande riguardanti il loro stato fisico, evitando di porre quesiti diretti sull’esperienza appena conclusa. Questo perché i piccoli, ancora sotto choc, non hanno ancora piena consapevolezza di quanto subìto. È necessario accompagnare l’uscita dallo stato di freezing emotivo, per evitare reazioni dolorose difficilmente gestibili. C’è assoluto bisogno di una fase di decompressione psicologica”.