Un mondo a misura di regime autoritario, grazie alla pratica della finta democrazia, quella dove si vota e basta e non ci sono tutti gli strumenti istituzionali e della società civile che caratterizzano le cosiddette democrazie mature. L’Egitto oggi va alle urne per scegliere il nuovo presidente della Repubblica. Le operazioni di voto termineranno il 12 dicembre e il popolo egiziano, teoricamente, potrà scegliere fra quattro candidati. Ma è praticamente certo che la competizione verrà vinta dal presidente uscente, il generale Abdel Fatah Al-Sisi, che guida il Paese dal 2014 e che così verrebbe rieletto per la terza volta consecutiva. A contrapporsi al militare ci sono Farid Zahran, presidente del Partito socialdemocratico egiziano; Abdel Sanad Yamama, leader di Al Wafd, il più antico partito liberale del Paese; e Hazem Omar, presidente del Partito popolare repubblicano. Il presidente uscente, per candidarsi, ha fatto cambiare apposta la Costituzione e, grazie agli emendamenti al testo, se rieletto, potrà rimanere al potere fino al 2030.
I risultati di questa tornata elettorale dovrebbero arrivare entro il 23 dicembre, mentre in caso di un ballottaggio, anche se improbabile, si tornerebbe a votare entro il 16 gennaio 2024. Al-Sisi, lo scorso ottobre, ha già incassato il sostegno pubblico di molti politici e uomini particolarmente in vista del Paese. L’ex militare, infatti, è ancora molto influente in apparati che nel Paese contano, come la polizia, le forze armate e i servizi segreti. E per una nazione che, come l’Egitto, è estremamente corrotta, non è un particolare da poco. Paradossalmente, poi gli altri candidati, per quanto con un partito dietro, sono pressoché ignoti al grande pubblico. Quindi la rielezione di Al-Sisi è pressoché scontata nonostante l’economia claudicante e le accuse di repressione dei diritti umani per le quali il suo regime è famoso ormai da qualche anno.
Appena due giorni fa, il presidente russo, Vladimir Putin, ha annunciato che correrà per il suo quinto mandato (terzo consecutivo) il prossimo marzo. Il numero uno del Cremlino, sulla carta, ha accettato l’invito di un militare che, durante una cerimonia di stato, gli ha chiesto di candidarsi perché "non ci sono alternative". A questo punto, Putin, ormai calato nella parte del salvatore della Patria, ha accettato, spiegando che non ha scelta. Come Al-Sisi, anche Putin ha fatto modificare la Costituzione e, se rieletto, potrà rimanere al potere fino al 2036, praticamente a vita. Il suo principale oppositore, Alexei Navalny, è in carcere e ci rimarrà ancora per molti anni. Anche ‘lo zar’, quindi, ha la vittoria in tasca.
Più fatica ha fatto, ma solo fino a un certo punto, il suo amico Recep Tayyip Erdogan dall’altra parte del Mar Nero, che dopo essere stato primo ministro per 12 anni, adesso è presidente della Repubblica con poteri illimitati. Il tutto, sempre grazie al potere del popolo, con Erdogan che ha sempre definito la democrazia "un treno da prendere per conquistare il potere, fino a quando non serve più".
Chissà se la pensa così anche il presidente venezuelano, Nicolás Maduro, che in Venezuela ha preso il potere 10 anni fa e non ha intenzione di mollarlo. Anzi, per emulare il suo ‘collega’ russo Putin, ha pensato bene di annettere l’Esequibo, una regione della Guyana. Cambia l’emisfero, ma la voglia di fare i dittatori grazie alla democrazia è la stessa.