Giovedì 2 Maggio 2024

Trump presidente, il popolo del Mississippi in festa. "Donald è l'unico che ci ha capiti"

Viaggio in Louisiana, dove anche i lavapiatti neri hanno scelto il tycoon

Lavapiatti della Louisiana (da il resto del carlino)

Lavapiatti della Louisiana (da il resto del carlino)

Gran Isle (Louisiana), 10 novembre 2016 - QUI FINISCE tutto: nel fortino di Donald Trump, la Louisiana da 62,5%, il Mississippi si sbriciola nel Golfo del Messico schizzando una ragnatela di paludi che divorano case e strade; sulle spiagge scure, gli scheletri dei pontili lasciati dagli ultimi uragani sono la sindone della lontananza da Washington, della politica che ignora i problemi, della gente abbandonata che questa volta, invece, alza la voce. Sì, proprio qui, dove finisce tutto, inizia l’America vera e da qui è partita l’alta marea di Trump. Marjorie Terrebonne, 84 anni, martedì ha votato fra le prime nel suo seggio, sulla strada statale 1. E da subito sapeva che «Donald avrebbe vinto». A giugno, quando è venuto in Louisiana, «Trump aveva dato migliaia di euro alle parrocchie danneggiate dagli uragani, e chi altro l’avrebbe fatto? Hillary? Chi l’ha vista?». Marjorie, che ha sempre votato per i repubblicani, questa volta voleva stare a casa, ma in «Donald ho visto una risposta alla rabbia, una risposta alle richieste di lavoro, uno spiraglio per l’America degli americani».   COME il nipote Todd Schexnaydre che, tornato dall’Iraq, ora porta in giro i turisti, nella stagione estiva, con un barcone: «Il lavoro non c’è più, nemmeno a New Orleans. Ci dobbiamo arrangiare come possiamo: ho votato Trump perché spero ci dia lavoro, che sblocchi questa America e la ridia agli americani e ai bianchi». A essere onesti, anche i pochissimi afroamericani di questa zona che, probabilmente, nel giro di cent’anni verrà sommersa dalle acque, hanno votato per Trump: «Con lui avremo salari migliori, il merito verrà premiato. A Hillary interessiamo solo per campagne di principio, ma a noi interessano i risultati», dicono i lavapiatti dell’Hurricane Hole, due di origine haitiana. Striscione in mano e convinzione che proprio non ti aspetti. Poche ore dopo il locale è un comitato elettorale in piena regola: gamberoni alla griglia e polentina, Po’ boy (panini ripieni di qualsiasi cosa, purché fritta) e birra: quando è certo, alle 22.30, che la Florida è repubblicana e il Wisconsin e il Michigan si tingono di rosso nelle mappe, Kyle e Ricky Watts iniziano a esultare. Trent’anni, non hanno frequentato il college, abitano a Houma, fanno lavori saltuari, «la politica ci fa schifo». E allora perché siete qua a seguire la notte elettorale? «Perché Donald ci ha capiti. Non parla come gli altri, non sarà perfetto, ma almeno dice le cose come stanno. Le dice nella maniera in cui non le si vuole sentire, ma ci rappresenta. Parla a noi, che abbiamo fatto e siamo l’America».

QUELLA di Grand Isle non è certo l’intellighenzia da salotto di New York: al posto dell’eskimo tornato di modissima nel Meatpacking District, i ragazzi indossano magliette di un improbabile esercito ‘di liberazione della Louisiana’ e di ‘difesa delle nostre famiglie’. Va da sé che leggano anche la stampa con disprezzo: «Ma guarda qua, il Times Picayune (il quotidiano più diffuso a New Orleans, ndr), si è schierato con Hillary. Voglio vedere adesso cosa scriveranno». D’altronde è il giornale della città, e nelle grandi città si vive un’altra America. A New York, nei giorni scorsi, non c’era lo straccio di un cartellone elettorale, non uno striscione, non una bandierina. Qui in Louisiana, invece, le strade sono tappezzate di cartelli. Tutti per The Donald, s’intende: «Questa campagna non è stata sentita a livello generale. I candidati non hanno coinvolto – raccontava profetico alla vigilia del voto Michele Casadei Massari, bolognese proprietario dei locali griffati Piccolo Cafè – se ne è parlato soprattutto sui social network. E i social network rappresentano l’America? No. Trump è un po’ come Berlusconi: quando vinceva, nessuno rivelava mai apertamente di averlo sostenuto».

UN VENTO a 150 chilometri all’ora sveglia la Louisiana dopo la notte della Storia. Le tempeste all’alba hanno portato sulla terra dell’isola-barriera un plotoncino di aironi schifiltosi. Non c’è nulla di rassicurante qui: «Donald deve tenere fede alle sue idee, ora non si faccia condizionare», sono subito sulla difensiva i figli di Annie Miller. Lei, anni fa, era la leggenda della swamp, la palude sul Mississippi, perché al suo passaggio gli alligatori saltavano dalla melma come delfini attirati dai bastoncini di pollo preparati in casa. Alcuni di questi ‘mostri’ del bayou avevano anche un nome. Oggi tocca agli eredi di Annie, Jeff e Mark: «Il primo alligatore che vedremo? Lo chiamiamo Donald».