Alla fine il Pd non ha il segretario che il Pd aveva scelto nelle sue primarie: Elly Schlein batte Bonaccini e succede a Enrico Letta sulla spinta di un voto di base che per la prima volta smentisce e ribalta quello dei circoli e di tanti amministratori locali. Vince una donna grazie a un’abbondante partecipazione femminile e giovanile nel milione di persone che ha affollato i gazebo, affluenza che ha confortato le speranze della vigilia. Vince l’idea che possa servire una anti-Meloni a contrastare la premier, consegnando all’Italia un duopolio rosa maggioranza-opposizione forse unico al mondo. Vince un elettorato più radicale, soprattutto del centro-nord e metropolitano, che riporta i dem sul terreno che Conte e i 5Stelle stanno occupando, facendo in fondo chiarezza sulla natura di una forza politica "fluida", nata da tradizioni diverse e contrapposte, dell’ex Pci e della sinistra Dc.
Di sicuro, oggi il Pd non è più quello di ieri, anche se dietro la neo-segretaria si è accalcato buona parte dell’attuale gruppo dirigente, magari nella convinzione di poter condizionare la candidata con una storia "minore" nel partito. Proprio quella che sembra essere stata la forza della Schlein ai gazebo. Dai quali esce una sorpresa, certo, ma in fondo relativa. Da giorni si sentiva nell’aria che quella di Bonaccini non sarebbe stata una marcia trionfale come nei circoli, che la sinistra dei diritti, delle militanze avrebbe potuto mobilitarsi per la candidata più vicina a loro. Anche se era normale pensare che in cabina di regia potesse andare non solo chi era stato indicato dagli iscritti, ma anche il rappresentante della maggiore azionista dei Democratici: Stefano Bonaccini, presidente dell’Emilia-Romagna. Nei giorni della tragedia di Crotone e dell’anniversario della guerra in Ucraina, il Pd invece rimescola le carte. Immigrazione, armi, alleanze: il gioco cambia, si fa incerto. Non solo nel partito.