Giovedì 16 Maggio 2024
ANDREA CANGINI
Editoriale e Commento

Due proposte, due utopie

Il realismo ha dunque imposto ai leader dei due maggiori partiti italiani una radicale inversione a U rispetto ai sacri principi a lungo enunciati. Matteo Renzi celebrava le virtù del sistema elettorale maggioritario e ha chiuso un accordo sul proporzionale, il suo contrario. Beppe Grillo denunciava “l’anti democraticità” dei capilista bloccati nel Porcellum e ha accettato un sistema elettorale in cui i capilista bloccati ci sono e prevalgono sui candidati che hanno preso più voti nei collegi uninominali. Il realismo è l’essenza della politica, consiste nel conciliare i propri principi con le condizioni date ottenendo così non l’ideale ma il massimo del possibile. Fa piacere osservare che al realismo si sia convertito anche il leader pentastellato, un politico come gli altri. E come gli altri affezionato all’idea di essere lui, e non i cittadini al momento del voto, a decidere chi sarà eletto. Diciamo la verità, l’approdo al proporzionale è reso inevitabile dal quadro politico attuale (realismo) ma rappresenta una iattura per il Paese.

Nella migliore delle ipotesi, se Pd e FI avranno i numeri sufficienti, darà vita a un governo trasversale di larghe intese, nella peggiore obbligherà a nuove elezioni. In entrambi i casi una manna per i Cinque stelle. Ci sarebbero però due impegni che forze politiche responsabili dovrebbero assumere sin d’ora nell’interesse della stabilità politica e dunque della Nazione. Il primo è minimo. A nostro parere, l’unico aspetto positivo del sistema elettorale in discussione è la soglia di sbarramento al 5%. Meno partitini non significa meno democrazia, ma meno ricatti e più governabilità. In passato, però, soglie di sbarramento persino più basse sono state aggirate dando vita ad accorpamenti elettorali tra partitini diversi che una volta approdati in Parlamento sono tornati a dividersi. Mettere mano ai regolamenti parlamentari per impedire che simile sconcio si perpetui nel tempo sarebbe più che auspicabile: sarebbe doveroso, e potrebbe essere fatto già in questo scampolo di legislatura. Difficile che accada.    L'altro impegno è ancor più ambizioso. Dunque, forse, irrealistico. Sono almeno trent’anni che in Italia si dibatte attorno alla necessità di modernizzare le istituzioni, rafforzando i governi. Elezione diretta del premier o del capo dello Stato, potere di nomina e revoca dei ministri, sfiducia costruttiva, potere di scioglimento delle Camere, abolizione del bicameralismo paritario, revisione del federalismo, sistema elettorale a doppio turno... Se ne parla da trent’anni, ma l’esito catastrofico del referendum istituzionale del 4 dicembre ha tolto la parola a tutti. Eleggere, contestualmente al nuovo Parlamento, un’Assemblea costituente che, beneficiando del clima di larghe intese, metta a punto una riforma organica della Costituzione e riveda la legge elettorale darebbe l’idea di una classe politica consapevole non solo del proprio tornaconto momentaneo ma anche dell’interesse nazionale nel medio e lungo periodo. Una classe politica responsabile e lungimirante.