Giovedì 7 Novembre 2024
AGNESE PINI
Editoriale e Commento

La vita in cella: dove la dignità è calpestata muore la giustizia

Carcere di Sollicciano a Firenze, la fotografia emblematica di un cortocircuito tra pena e giustizia

Agnese Pini

Agnese Pini

A lasciarci in un silenzio che dovrebbe suggerire sofferta incredulità, prima ancora che indignazione, non sono le pareti sporche di vomito, non sono le blatte e la sporcizia, gli odori molesti e talvolta insopportabili, le infiltrazioni di umido, il caldo soffocante, gli occhi svuotati, le braccia penzolanti piene di cicatrici. Sono invece le parole di un detenuto: perché quelle parole più di tutto disvelano la disumanità del carcere. "Se non ti tagli le braccia, se non provi a impiccarti, nessuno ti ascolta".

Sollicciano, luglio 2023. Il carcere di Firenze, a pochi chilometri dal centro storico, ha i corridoi disegnati a forma di giglio dall’architetto che li progettò. Gaia Tortora è entrata a visitare quei corridoi e le loro celle fatiscenti, inchiodando nelle sue parole l’inaccettabile quotidianità che vi si consuma – condivisa da carcerati e carcerieri – ogni giorno e ogni notte, ogni ora, nel doloroso e importante reportage che potete leggere in queste pagine. C’è, nel suo racconto e nelle testimonianze che ha raccolto, il senso di una gigantesca e troppo spesso rimossa vergogna: lì dove il carcere diventa inferno, muore anche la giustizia, muore il suo senso più alto e profondo.

Sollicciano è solo un caso, non certo l’unico, è la fotografia emblematica di un cortocircuito tra pena e giustizia spesso denunciato dalle associazioni e talvolta dalle inchieste che portano alla luce sevizie e torture. Insieme all’inadeguatezza delle strutture, al sovraffollamento, al degrado, alla mancanza di igiene. Nelle carceri italiane si muore venti volte di più che non nel mondo libero. Solo nel 2022 si sono contati 87 suicidi. Quasi la metà dei detenuti non ha l’acqua calda e vive in celle che mettono a disposizione meno di tre metri quadrati a testa.

Non siamo in Egitto, nelle temute prigioni di Al Sisi, non siamo in Libia e neppure in Russia. Siamo qui, in Italia: sotto i nostri occhi, accanto alle nostre case.