Venerdì 26 Aprile 2024

Vino? Non solo da bere. Ecco le etichette italiane su cui investire

Vino

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Diventare ricchi investendo sul vino? Non è una boutade: il binomio vino-finanza esiste da tempo e si è intensificato negli anni, al punto che è nata, di recente, la figura del personal wine advisor, l’esperto di vini pregiati, in grado di affiancare l’utente nel percorso di avvicinamento alle etichette più prestigiose e supportarlo nella costruzione del proprio portafoglio di vini da investimento. Pur essendo cresciuto notevolmente, il mercato degli investimenti in vino resta una nicchia, un asset alternativo a quelli più classici e strutturati. Innanzitutto perché riguarda poche etichette - 100/150 a livello mondiale - in particolare quei brand che vantano una storia consolidata, prestigio e qualità riconosciuta, grandi territori, vendemmie perfette, tiratura limitata, una capacità acclarata di durare nel tempo e, dunque, di rivalutarsi col passare degli anni. Si tratta di un mercato che richiede, comunque, competenze enologiche importanti e raffinate capacità di selezione.

L’indice LivEx - The Fine Wine Market

Innanzitutto, è necessario saper monitorare l’indice LivEx, che misura le quotazioni dei principali vini al mondo ed è finito in più occasioni sotto la lente degli investitori per le sue performance più recenti. Nel club dei ‘grandi vini’ ci sono principalmente rossi, una decina di champagne e qualche vino bianco che ha dimostrato doti di eleganza e capacità di evolvere nel tempo. Nel dettaglio - dice Alessandro Regoli, direttore e fondatore del canale web ‘winenews.com’ (uno dei primi in Italia a monitorare l’indice LivEx) – «ai vertici si piazzano 70-80 vini francesi, 20-25 italiani e 10-20 di altri Paesi del mondo. In tutto, non più di 100/150 etichette. Solo per fare qualche nome, Château Lafite, Château Margaux, Château Mouton Rothschild, Château Haut-Brion, Cheval Blanc, Petrus, d’Yquem: la Borgogna con Domaine Romanée-Conti, Rousseau, Henri Jayer. Quanto agli champagne, Dom Perignon, Krug, Roederer, Bollinger, Pol Roger. In Italia, Sassicaia, Tignanello, Solaia, Ornellaia, Masseto, Barolo Monfortino di Conterno, i cru di Gaja, Case Basse di Soldera, Biondi-Santi con le riserve di Brunello».

L’Italia del vino: da Nord a sud, ecco le etichette su cui puntare

Fermo restando che non è sufficiente avere in cantina qualche vecchia bottiglia per sentirsi improvvisamente milionari (le aste hanno parametri estremamente rigidi per verificare lo stato di conservazione del vino, del suo livello, di etichetta e capsula), è consigliabile lasciarsi guidare da un esperto in un viaggio attraverso i terroir e i distretti vinicoli di maggior prestigio nelle regioni italiane: l’obiettivo è capire quali potrebbero essere, ora, le bottiglie per cui gli appassionati (soprattutto stranieri) sarebbero disposti a spendere di più.

Partiamo dalla Val d’Aosta, regione con una qualità media tra le più alte a livello nazionale, grazie ai bianchi (chardonnay, petite arvine o pinot grigio) che continuano a svettare nelle degustazioni per fragranza e definizione aromatica; per passare poi al Piemonte, con i cru di Barolo, capaci di attrarre l’attenzione della stampa internazionale proprio per le loro elevate quotazioni nelle aste; e alla Lombardia: qui, ad attirare gli entusiasmi degli investitori sono soprattutto le etichette della Valtenesi, l’unica denominazione italiana che ha scelto il vino rosé come bandiera del territorio. C’è poi il fenomeno dei ‘super bianchi’ in Alto Adige, che strappano prezzi impensabili solo pochi anni fa: vini pensati per il lungo termine, proprio come i bianchi del Collio e dei Colli Orientali, capaci di emozionare anche a distanza di vent’anni dalla vendemmia.

In Emilia-Romagna vantano un percorso di crescita notevole sia il Lambrusco di Sorbara, sia il Sangiovese di Romagna: entrambi erano scarsamente valutati fino a soli dieci anni fa. In Toscana il Brunello di Montalcino continua a scalare le classifiche internazionali, ma è interessante anche il fermento intorno al Rosso di Montalcino. In Umbria salgono le quotazioni di Grechetto e Ciliegiolo, vitigni a bacca rispettivamente bianca e rossa; nelle Marche crescono quelle del bianco Verdicchio, in Abruzzo gli investitori scommettono sul Cerasuolo, uno dei più apprezzati e sorprendenti tipi di rosato, la cui Doc è stata creata solo nell’ottobre 2010.

Capitolo Sud e isole: in Campania spicca la Falanghina del Sannio, per la sua capacità di invecchiare bene; in Puglia, accanto all’ormai celebre Primitivo di Manduria, si fa strada il brindisino Susumaniello, varietà a lungo dimenticata, ora tornata in auge grazie a vini snelli e fruttati. Quanto alla Sicilia, gli esperti definiscono l’Etna come il fenomeno del vino italiano più rilevante degli ultimi 15 anni, soprattutto per la crescita vertiginosa dei prezzi dei terreni, dei vini e, in generale, dei numeri produttivi, nonché per l’aumentata risonanza internazionale della sua offerta turistica ed enogastronomica. In Sardegna, infine, vecchie vigne semi-abbandonate sono al centro di interessanti progetti di recupero e valorizzazione che racchiudono un enorme potenziale per il prossimo futuro.

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