Giovedì 6 Marzo 2025
CLAUDIA MARIN
Economia

Il paradosso del terziario: la produttività aumenta, ma i salari sprofondano

Crollo del 15% dei salari nel commercio, ma i lavoratori “regalano” alle aziende un +16% di produttività: non c’è redistribuzione. La fotografia nella ricerca Uiltucs: 8 Paesi europei a confronto, l’Italia penultima

La produttività nel settore del Terziario aumenta mentre il valore reale dei salari si inabissa

La produttività nel settore del Terziario aumenta mentre il valore reale dei salari si inabissa

Roma, 20 novembre 2024 –  E’ netto il divario tra l’aumento della produttività nel terziario nell’ultimo decennio e il crollo del potere d’acquisto dei lavoratori del settore.

Un paradosso che la dice lunga su come le imprese redistribuiscano o, meglio, non redistribuiscano il maggiore valore creato dai dipendenti.

La fotografia è scattata dalla ricerca della Uiltucs, la Uil del terziario, su salari e contrattazione, nata da un’articolata rielaborazione e analisi di dati Istat e Eurostat

I numeri

I salari reali nel terziario sono crollati, con un drastico -8% in 10 anni che, nel commercio, diventa un inquietante -15%. La produttività del lavoro però viaggia in controtendenza, con un +16,3%.

Ricchezza non redistribuita

Ad emergere dalla ricerca sono le dinamiche salariali e la contrattazione collettiva in Italia negli ultimi 10 anni, messe a confronto con quelle di altri 8 Paesi dell’Unione Europea, in cui la contrattazione copre una larga maggioranza della forza lavoro. Si parla di Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Spagna, Svezia. Sulla base dei risultati della ricerca, la Uiltucs ha poi elaborato una concreta proposta per una riforma della contrattazione collettiva e delle dinamiche salariali, che sarà presentata domani alla presenza delle controparti del settore: una proposta che andrà a incidere positivamente sui salari in Italia.

L’impietoso confronto con l’Europa

Lo scopo è ridurre una povertà del lavoro che, a conti fatti, è evidente: i salari nominali medi in Italia si posizionano al penultimo posto rispetto agli altri 8 Paesi considerati, con un valore di poco superiore ai 30.000 euro annui, rispetto ad un range negli altri Paesi tra i 41.000 e i 62.000 euro. I salari nominali medi in Italia nell’ultimo decennio sono cresciuti meno dell’inflazione, e sono arretrati in termini reali (-8%), a fronte di una crescita dei salari reali negli altri Paesi (tra il +2% e il +15%).

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Perdita del potere d’acquisto

L’erosione del potere d’acquisto è stata ancora più grave nel terziario, dove i salari sono arretrati dell’11,4% rispetto all’indice Ipca-Nei, e del 13,5% rispetto all’inflazione reale rilevata dall’indice Nic dei prezzi al consumo. Segno più invece per la “produttività del lavoro” (calcolata tenendo conto del valore aggiunto e dell’effettivo apporto del lavoro alla crescita della produttività), che in Italia è cresciuta in tutti i settori, con l’eccezione dell’agricoltura, con una media del +3,2%.

I macrosettori

Estrapolando il macrosettore dei servizi (commercio, turismo, trasporti e logistica), la produttività del lavoro è cresciuta del +7,8%, contro la media nazionale del +3,2%. Se si considera il solo commercio la produttività del lavoro è cresciuta molto più della media nazionale (+16,3% contro +3,2%). Inoltre, tra il 2015 e il 2021, il Mol (Margine operativo lordo) delle imprese è cresciuto nel commercio del 44,9%. Per contro gli investimenti nel commercio sono ristagnati (+1,6%).

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La proposta della Uiltucs

“Da questi dati relativi al settore del commercio – spiega il segretario generale Uiltucs Paolo Andreani – si può perciò dedurre che, nonostante la pandemia e le sue conseguenze, le imprese hanno accumulato utili enormi. Quasi nulla di questi utili è stato reinvestito, contribuendo alla spirale inflattiva e alla stagnazione dell’economia del Paese. La produttività del lavoro del commercio è cresciuta 5 volte di più della media degli altri settori, ma non è stata minimamente redistribuita al lavoro. Questo scenario si somma alla situazione sconfortante dei salari nazionali, con il crollo del potere d’acquisto che getta la maggioranza dei lavoratori del settore in una situazione di povertà. Una seria riforma del sistema contrattuale – insiste Andreani – non è più rinviabile, se si vuole restituire al mondo del lavoro la dignità che gli spetta”.