Il controllo di Poste resterà nelle mani dello Stato. Anche quando il Tesoro piazzerà sul mercato fino al 35% della quota in suo possesso, con l’obiettivo di portare in cassa circa 4,4 miliardi di euro. Parola del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ascoltato ieri dai deputati e dai senatori delle Commissioni Bilancio e Trasporti sulla privatizzazione dell’azienda guidata da Matteo Del Fante. Del resto, già oggi, lo statuto di Poste prevede che nessun "soggetto diverso dal Mef, da enti pubblici o da soggetti da questi controllati, può detenere una quota superiore al 5 per cento del capitale della società". Una clausola di garanzia che mette l’azienda al riparo da possibili scalate. Ma c’è di più. La vendita delle quote del Tesoro potrebbe avvenire in più step e "alla luce dell’aggiornamento delle previsioni che sarà operato a breve con la pubblicazione del Def – ha aggiunto il ministro – valuteremo l’opportunità di modificare la tempistica prevista per conseguire un profilo del rapporto debito/Pil coerente con gli impegni programmatici già prestabiliti".
Nelle prime fasi "il governo potrebbe anche fermarsi al 51%, perché riteniamo che questa sia un’asticella che riteniamo in questo momento soddisfacente rispetto al percorso" indicato. Un percorso facilitato, secondo l’esponente del governo, "dagli effetti dell’operazione sulla fiducia degli investitori istituzionali nazionali ed esteri verso l’Italia, che potrebbero risultare in un miglioramento dell’appetibilità del debito pubblico, con conseguenti effetti positivi in termini di riduzione dello spread e del costo del debito".
Nel corso dell’audizione il ministro ha anche voluto rassicurare i sindacati sul fronte dell’occupazione, ricordando che il piano industriale presentato dall’azienda "contempla alcun impatto negativo, ma sarà cura del governo monitorare le decisioni aziendali" per "garantire la salvaguardia" dei posti dilavoro. Un piano che prevede circa 19mila assunzioni nel quinquennio.
Infine, la questione dell’acquisizione, da parte di Poste, di PagoPa, finita nel mirino dell’Antitrust: "Non c’è nessuna volontà strumentale di fare aggiotaggio per valorizzare ulteriormente Poste ai fini del collocamento sul mercato. Intendiamo andare avanti. Riteniamo si tratti di un’operazione di razionalizzazione di sistema".