Giovedì 18 Aprile 2024

Policrisi: che cos'è, significato e perché ne sentiremo parlare

Il termine è stato usato per la prima volta nel 1999, ora è ritornato in auge a causa della concatenazione di pandemia, guerra, siccità e inflazione

Ucraini ricaricano batterie e telefoni cellulari nella città di Siversk (Ansa)

Ucraini ricaricano batterie e telefoni cellulari nella città di Siversk (Ansa)

Pandemia, guerra, siccità, inflazione: è difficile trovare uno spiraglio di positività in una situazione in cui sembrano susseguirsi un problema dietro l’altro. Proprio alla luce di tale "concatenazione di problemi", nell’ultimo periodo sul web è e negli ambienti accademici, si è diffuso un termine emblematico, in grado di racchiudere questa molteplicità di situazione avverse: policrisi. È una delle parole indicate dal network radio Npr (Usa) tra quelle che saranno più utilizzate nel 2023 a livello globale. Non di certo un bel segnale, considerando che il concetto è utilizzato per descrivere un contesto di crisi su più fronti, in cui ogni problema interagisce con l’altro, cosicché il loro effetto risulti più grande della somma delle singole parti. E tra queste crisi, come non ricordare l’emergenza sanitaria globale, la crisi climatica, la crisi economica, la crisi geopolitica.

Policrisi: un termine che ritorna ciclicamente

Il termine non è nuovo, fu utilizzato per la prima volta dal filosofo Edgar Morin nel 1999 ed era stato recuperato alcuni anni fa dall’ex presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker. Ma è diventato davvero celebre soltanto dopo essere stato adottato da uno degli storici dell’economia più famosi degli ultimi anni, il britannico Adam Tooze, che l’ha usato per descrivere la confusa situazione dell’economia mondiale nell’articolo intitolato 'Welcome to the world of the polycrisis'. Tooze riconosce che il mondo è sempre stato complesso, e non è di certo la prima volta che numerose crisi si amplificano l’una con l’altra. Ma secondo lui "ciò che rende le crisi degli ultimi 15 anni così disorientante è che non sembra più possibile indicare una singola causa e, di conseguenza, una singola soluzione". Per esempio, il riscaldamento globale si collega alle alluvioni che, oltre a portare morte, funestano un settore economico già in difficoltà dal Covid e dai crescenti prezzi delle bollette. L’aumento delle temperature porta siccità, che a sua volta spinge tanti a emigrare verso paesi più ricchi, con le conseguenti tensioni internazionali. Da qualunque lato lo si analizzi, il puzzle non cambia. Mondo che va a catafascio, quindi? Non inevitabilmente.

Nel quadro quasi apocalittico tratteggiato emerge la luce dell’agire collettivo, che deve prevalere sull’individualismo. L’idea alla base è quella di fare emergere una coscienza collettiva in grado di scardinare i problemi alla base.

Permacrisis e Megathreats

Si stanno diffondendo altre parole online e negli ambienti accademici in grado di delineare la situazione di disagio su più fronti che si sta iterando nell’ultimo periodo: il dizionario d’inglese Collins ha eletto come parola dell’anno 2022 "permacrisis". Anche questa non è nuova. Era già nota negli anni Settanta, ed è stata utilizzata, ad esempio, dal politologo americano John Pearson Roche per descrivere la situazione di crisi permanente presente nel Medio Oriente e, in particolare, tra Israele e Palestina. Con permacrisis ci si riferisce a una condizione di crisi permanente, caratterizzata dal susseguirsi e sovrapporsi di situazioni d’emergenza. A tal proposito Alessandro D’Avenia ha spiegato: "La permacrisi può diventare una nascita: non finisce il mondo ma un mondo, perché ne nasca uno più autentico. Sta a noi decidere se, nel nostro ambito di azione, far venire al mondo questo mondo nuovo o lasciarci paralizzare dalla paura (non resilienza ma resistenza, cioè ri-esistenza, esistenza nuova)".

Un altro termine al centro del dibattito è "megathreats", ossia “mega minacce”. La parola è stata resa celebre dall’economista Nouriel Roubin, che ha intitolato allo stesso modo anche il suo nuovo libro. In esso, lo studioso ha preso diligentemente nota delle insidie che minacciano l'occidente e ha identificato 11 shock negativi che riducono la crescita potenziale aumentando il costo di produzione. Questi includono deglobalizzazione e protezionismo, delocalizzazione della produzione in Cina, invecchiamento della popolazione nelle economie avanzate e nei mercati emergenti, restrizioni all'immigrazione, disaccoppiamento tra Stati Uniti e Cina, cambiamento climatico globale e pandemie ricorrenti.

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