Mister Prezzi indaga sul caro-bebè. Iva ridotta, ma il conto resta salato

I prodotti per l’infanzia continuano a costare troppo. Il ministro Urso: istruttoria urgente del garante. Legacoop: il 63% degli italiani non fa figli per colpa degli stipendi bassi e dei rincari dei beni di consumo

Non bastavano gli stipendi falcidiati dall’inflazione o dal gender gap per le donne, la mancanza di servizi e di sostegni pubblici per i figli o la precarizzazione del lavoro. A scoraggiare la natalità in Italia contribuiscono il caro-pannolini, il caro-latte e il caro-seggiolini. A dare l’allarme sui prezzi dei prodotti per l’infanzia che non calano, nonostante il taglio dell’Iva deciso con la manovra, è il ministero delle Imprese e del Made in Italy. Tanto che il responsabile del dicastero di via Veneto, Adolfo Urso, ha dato mandato a Mr. Prezzi di convocare con urgenza il tavolo del settore.

Prezzi e denatalità
Prezzi e denatalità

Con la legge di bilancio per il 2023 il governo ha previsto – dal 1 gennaio scorso – la riduzione dell’aliquota Iva al 5% per alcuni prodotti per l’infanzia. In particolare, pannolini, latte e seggiolini auto per bambini.

Il ministro Adolfo Urso, 65 anni
Il ministro Adolfo Urso, 65 anni

Il Garante per la sorveglianza dei prezzi ha realizzato un monitoraggio mensile volto a stimare, anche territorialmente, la variazione corrente dei prezzi al consumo dei prodotti assoggettati alla nuova aliquota, rispetto al mese di dicembre 2022 (prima, quindi, della sua introduzione). "Dal monitoraggio – sottolineano dal ministero – è emerso che nei primi tre mesi di applicazione delle aliquote ridotte, fino a marzo scorso, gli effetti della manovra non appaiono interamente trasferiti a vantaggio del consumatore.

In alcuni casi, infatti, pur tenendo conto che la misura dell’intervento si inserisce in una fase caratterizzata da un’inflazione tutt’ora presente, si osserva una riduzione del prezzo pari solo al 50% di quella attesa.

Da qui l’intervento di Urso: "La lotta all’inflazione è tornata a essere in prima fila e resta il principale problema che abbiamo sul fronte dei consumi e il ministero sta concentrando di volta in volta l’attenzione su fronti particolarmente sensibili: il primo è stato, nei giorni scorsi, il caro-pasta. Ora affrontiamo il problema dell’incremento dei prezzi sui prodotti per l’infanzia".

Sul piano più complessivo, del resto, il nodo della natalità sta assumendo il carattere di urgenza per più di 7 italiani su 10, come indica il Report FragilItalia "Famiglia. Percezione, ruolo e fattori di crisi. La sfida della denatalità", elaborato da Legacoop e Ipsos. E gli stessi italiani, sotto questo profilo, indicano anche le cause dell’inverno demografico: stipendi bassi e aumento del costo della vita (70%), instabilità lavorativa e nella precarizzazione del lavoro (63%), mancanza di sostegni pubblici per i costi da affrontare per crescere i figli (59%), mancanza di servizi per le famiglie diffusi e accessibili a tutti (57%) e paura di perdere il posto di lavoro (56%, il 61% tra le donne).

Il fronte lavoro e conciliazione tra professione e famiglia si rivela quello più delicato in tutte le indagini in materia. Con esiti negativi per le mamme, che di fatto diventano ammortizzatori sociali della famiglia. Nel 7° Rapporto di Save the Children ‘Le Equilibriste: la maternità in Italia 2022’ si mette nero su bianco che il part-time si rivela come il contratto del 39,2% di chi ha due o più figli minorenni. Ma non basta. Di fronte al bivio tra licenziarsi conquistando un sussidio di disoccupazione e continuare a lavorare, molte mamme scelgono la prima cosa: "In media – sottolinea l’Inps – le madri sono disposte a rinunciare a oltre 30mila euro in redditi nel lungo periodo per ottenere circa 5mila euro in più di prestazioni nel breve periodo". L’Istituto nazionale di previdenza certifica che "parte di queste scelte è derivata dall’eccessivo costo di tornare al lavoro dopo la maternità, dovuto alla mancanza di servizi per l’infanzia".

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