Dopo Mps arriva la volta di Eni. Il governo Meloni va avanti nel piano delle privatizzazioni cedendo, ancora una volta con una procedura accelerata di raccolta ordini, una quota del 2,8% del gruppo in mano al Mef che scende così sotto il 2% del capitale (dal 4,797%). Il controllo pubblico sul cane a sei zampe resta tuttavia assicurato dalla partecipazione di Cdp (la cui maggioranza fa capo allo stesso Mef con una quota di minoranza delle fondazioni bancarie) che detiene il 28,503%. Voci di una cessione della partecipazione erano circolate già lo scorso gennaio anche se l’esecutivo, per voce del sottosegretario al Mef Federico Freni, aveva ricordato come "non c’è nessuna fretta di privatizzare ma che si privatizzerà bene, nei tempi giusti, nei momenti giusti" rispettando comunque l’obiettivo del Def di autunno 2023 che prevede, per i prossimi tre anni, cessioni pari all’1% del Pil. Il 2,8% d di Eni ha fruttato 1,4 miliardi di euro. Le azioni sono state cedute a 14,85 euro con uno sconto dell’1,7% sulla chiusura alla Borsa di Milano. Denaro da utilizzare, come più volte ricordato dal ministro Giancarlo Giorgetti, per ridurre il debito pubblico, che viaggia a passo spedito verso i tremila miliardi di euro.
A proposito di conti pubblici, la Commissione Ue intravede nelle previsioni economiche di primavera timidi orizzonti di ripresa, accompagnata – spiega il commissario europeo all’Economia Paolo Gentiloni – dal "calo dell’inflazione e dall’aumento del livello di occupazione". L’Italia cresce a un ritmo più elevato rispetto alla media del vecchio continente, con un Pil atteso di 0,9 punti percentuali, superiore a quello di Francia e Germania. Tuttavia, ridimensiona Gentiloni, "l’economia italiana, che aveva evitato la recessione e la stagnazione, nei prossimi due anni si riavvicinerà alla media europea". Intanto, continua il commissario, il debito pubblico "è destinato ad aumentare leggermente l’anno prossimo, evidenziando la necessità di un consolidamento di bilancio". Una crescita che dal 137,3% del Pil nel 2023 dovrebbe raggiungere il 138,6 già quest’anno e il 141,7 l’anno prossimo. Le sorti del Paese, aggiunge, "dipendono anche da come saremo in grado di attuare i diversi programmi di riforme e di investimenti legati al Next Generation Eu".
In questo contesto, l’ultima istantanea scattata dall’Istat va osservata in controluce. Guardando all’andamento del Pil dal 2000 a oggi, la ripresa è stata parziale, tanto che solo alla fine del 2023 si torna ai livelli del 2007. In 15 anni si è accumulato un divario di oltre 10 punti con la Spagna, 14 con la Francia e 17 con la Germania. La stagnazione della produttività del lavoro è tra gli elementi che caratterizzano il debole andamento negli ultimi vent’anni. In volume, il Pil per ora lavorata è cresciuto di solo l’1,3% tra 2007 e 2023, contro il 3,6 in Francia, il 10,5 in Germania e il 15,2 in Spagna.
Gli occupati aumentano in media del 2,1%, ma la quota elevata di lavoratori in condizioni di vulnerabilità economica resta alta. Tra il 2013 e il 2023 il potere d’acquisto delle retribuzioni lorde è diminuito del 4,5%, mentre in Europa è cresciuto a tassi compresi tra l’1,1% della Francia e il 5,7% della Germania.