Martedì 30 Aprile 2024

Lira turca, l'esperto: "Costi rilevanti anche per l'Italia"

Il crollo della lira turca ha colpito tutti i mercati finanziari, e l'Europa teme il contagio. "Nessun rischio diretto, ma potrebbero esserci costi rilevanti. Anche per l'Italia", spiega l'economista Donato Masciandaro Lira turca, cosa sta succedendo sui mercati. I rischi per l'Italia e le sue aziende

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Roma, 12 agosto 2018 - Il crollo della lira turca ha colpito tutti i mercati finanziari, e in Europa si agita lo spettro del contagio.

La crisi turca potrebbe avere rischi rilevanti anche per l’Italia? «No». La risposta di Donato Masciandaro, docente di Economia alla Bocconi, è netta. Niente rischi diretti. «Ma questi scossoni creeranno costi rilevanti anche per un Paese indebitato come l’Italia e per le banche coinvolte». Insomma il crollo della lira turca non è così deflagrante ma è certamente un fattore di incertezza. Così come è pericoloso il mix di sovranismo, indebitamento e incuranza delle regole del mercato caratteristico del potere di Erdogan. È concreto un rischio contagio per l’Europa, come ai tempi dei timori per la crisi greca? «Distinguiamo tra il concetto di costo e quello di crisi sistemica globale. Ecco, la probabilità che accada una crisi del genere ad agosto, a causa del cerino turco, per me è irrivelante. Ma i costi di quello che sta succedendo sono rilevanti per tutti gli altri anelli della catena finanziaria mondiale». Italia compresa? «Ormai da dieci anni abbiamo imparato che i mercati sono globali, complessi e interconnessi. Quindi quando un anello debole della catena si scuote, vengono ripercorsi tutti gli altri, e in particolare quelli ritenuti altrettanto deboli. E allora osserviamo che si innalza lo spread di un altro Paese indebitato e in parte governato da sovranisti, cioè l’Italia». E se la crisi dovesse proseguire anche oltre l’estate? «Diciamo che l’incertezza ha una dinamica che può essere più o meno accentuata e un danno più o meno alto. Ci potranno essere appunto costi per il sistema macroeconomico. E l’incertezza può essere generata da altri fattori». Quali? «Ad esempio se ci fossero recrudescenze della guerra commerciale, finora combattuta da Trump a parole e poco con i fatti. E andando avanti, avremo Brexit e poi le elezioni europee nel 2019». Ma basta davvero un annuncio come quello di Trump sui dazi per far crollare una valuta? «Sì, se cammini su un cornicione anche solo un soffio potrebbe farti cadere. Questa crisi è anche un intreccio di anomalie: da una parte il sovranista Erdogan, dall’altra il presidente Trump, un altro sovranista che ha modificato la storica politica americana di rispetto per il libero scambio». Va comunque tenuta d’occhio la situazione turca? «Assolutamente sì. Come va tenuta d’occhio per esempio la situazione venezuelana. Ci sono focolai geopolitici che tradotti in termini macroeconomici rappresentano dei fattori di costo». Quali caratteristiche ha la politica economica di Erdogan? «Erdogan è un caso di scuola di sovranismo/populismo. Le sue politiche sono miopi, il primo obiettivo è il consenso elettorale e ideologico, non fare le scelte lungimiranti. La seconda caratteristica è che non sopporta le authority indipendenti. L’effetto in termini economici finanziari è che non rispetta le regole del mercato, e quindi il suo Paese è indebitato, ha una spesa pubblica elevata e tiene i tassi di interesse troppo bassi». Quali effetti avrebbe una spinta di Erdogan all’isolamento? «Sarebbe un altro fattore di instabilità. È un’anomalia dal punto di vista della politica economica, un braccio di ferro con i mercati. Ma in questi casi i mercati vincono. Un termometro è l’inflazione: se Erdogan continua così sarà competitivo solo con il Venezuela...».

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