Domenica 5 Maggio 2024

Istat, gli stipendi aumentano per la prima volta dopo 9 anni. Nascite al minimo storico

La spinta maggiore dai dipendenti pubblici. Nuovo aumento dell'occupazione, superati i livelli pre-crisi. Famiglie sempre meno numerose, il 33% è single

La manifestazione di Cgil, Cisl e Uil 'Futuro al lavoro' (Ansa)

La manifestazione di Cgil, Cisl e Uil 'Futuro al lavoro' (Ansa)

Roma, 30 dicembre 2019 - Per la prima volta dopo 9 anni gli stipendi nel 2018 sono tornati a salire, e la spinta maggiore arriva dai dipendenti pubblici. E' quanto rileva l'Istat nell'Annuario. Nello specifico, dopo una fase di decelerazione che perdurava da nove anni, le retribuzioni contrattuali orarie nel totale economia sono tornate ad aumentare (+1,5%). Tale variazione è stata determinata per più di due terzi dai miglioramenti economici intervenuti nell'anno. Il contributo maggiore è derivato dagli aumenti retributivi previsti per la quasi totalità dei dipendenti pubblici (+2,6 per cento) dopo il blocco contrattuale che si protraeva dal 2010. Nel settore privato - rileva Istat - la crescita ha presentato un andamento più regolare (+1,1 per cento) come sintesi di una dinamica più favorevole nei servizi privati (+1,3 per cento) rispetto a quella dell'industria (+0,9 per cento).

Dall'analisi dell'Istat emerge anche che più la città è ricca e maggiori sono le disuguaglianze. "All'aumentare del reddito familiare, si acuiscono anche le disuguaglianze: i comuni centro area metropolitana registrano sia il più alto reddito netto medio familiare sia il più alto rapporto di disuguaglianza. Andamento opposto per i comuni fino a 50 mila abitanti che si caratterizzano per avere il reddito più basso accompagnato dalla disuguaglianza dei redditi più bassa". Relazione opposta a quella che si registra invece su base regionale: "Nel Nord-est, caratterizzato dal reddito netto medio familiare più elevato (41.019 euro a fronte di 36.293 euro dei residenti in Italia), si osserva - viene spiegato - una disuguaglianza dei redditi più bassa rispetto alle altre aree". 

Lavoro, +192mila occupati

Il 2018 si caratterizza anche per un nuovo aumento dell'occupazione (+192 mila unità rispetto al 2017), superando i livelli pre-crisi. Nello specifico, il tasso di occupazione 15-64 anni sale al 58,5 per cento (+0,6 punti) sfiorando il livello massimo del 2008, ma si allontana ancora dalla media Ue (68,6 percento). La crescita dell'occupazione interessa soltanto i dipendenti (+215 mila), esclusivamente a tempo determinato, mentre torna a calare il tempo indeterminato. Prosegue la riduzione dei disoccupati (-151 mila) e del tasso di disoccupazione (-0,6 punti), in particolare per i giovani, che si associa alla complessiva diminuzione dell'inattività. 

Famiglie sempre meno numerose

Invece l'analisi delle strutture familiari conferma la tendenza, in atto da decenni, di una progressiva semplificazione nella dimensione e nella composizione delle famiglie. Il numero medio di componenti è passato da 2,7 (media 1997-1998) a 2,3 (media 2017-2018), soprattutto per l'aumento delle famiglie unipersonali che in venti anni sono cresciute di oltre 10 punti: dal 21,5 per cento nel 1997-98 al 33,0 per cento nel 2017-2018, ovvero un terzo del totale delle famiglie. Parallelamente sono diminuite, nello stesso periodo, le famiglie numerose che ammontavano al 7,7 per cento nel 1997-98 e che oggi raggiungono appena il 5,3 per cento. 

Nascite al minimo storico

Nel 2018 continua anche il calo delle nascite: i nati vivi, che nel 2017 erano 458.151, nel 2018 passano a 439.747, nuovo minimo storico dall'Unità d'Italia; il quoziente di natalità scende a 7,3 nati per mille abitanti (7,6 per mille nell'anno precedente). Il tasso di fecondità totale (Tft), indicatore sintetico della fecondità, scende ancora e passa da 1,34 nel 2016 a 1,32 figli in media per donna nel 2017. Il fenomeno, sul territorio, ricalca la situazione degli anni precedenti: Nord-ovest e Nord-est, con un Tft pari rispettivamente a 1,37 e 1,38, sono le ripartizioni con la fecondità più alta e si contrappongono al Centro con un valore pari a 1,27 e al Mezzogiorno con 1,29 figli in media per donna. Se si analizzano i dati per cittadinanza, si può notare che, per le donne italiane, l'indicatore continua a diminuire e si attesta su 1,24 figli in media per donna nel 2017, con i valori più bassi nel Centro (1,20). Nel 2017, a livello internazionale, l'Italia insieme a Cipro (1,32), subito dopo Malta (1,26) e Spagna (1,31) è tra i paesi con la più bassa fecondità dell'Ue28 (1,59 media Ue28); la Francia, invece, con 1,90 figli in media per donna, continua ad essere il paese più prolifico. L'andamento delle curve di fecondità per età mette in evidenza come la diminuzione dell'intensità del fenomeno si affianchi alla posticipazione del calendario riproduttivo, che vede l'evento nascita verificarsi in età sempre più avanzata. L'età media delle madri al parto, infatti, cresce ancora e arriva a 31,9 anni nel 2017. 

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