Martedì 10 Dicembre 2024
ELENA COMELLI
Economia

Usa, sale l’inflazione. L’aumento fermerà i tagli ai tassi della Fed?

Sulla decisione pesa la preoccupazione sull’atteggiamento che prenderà l’amministrazione Trump nei confronti dell’indipendenza della banca centrale

La Fed taglia i tassi di un quarto di punto

La Fed

Roma, 26 novembre 2024 – L'inflazione statunitense è salita al 2,6% in ottobre dal 2,4% in settembre e ora gli analisti cominciano a chiedersi se questo aumento fermerà i tagli ai tassi della Fed, che deve decidere la sua prossima mossa nell'ultima riunione dell'anno, il 18 dicembre, alla vigilia dell'insediamento del presidente eletto Donald Trump. Una decisione non facile, su cui pesano le diffuse preoccupazioni sull'atteggiamento che prenderà la nuova amministrazione nei confronti dell'indipendenza della banca centrale, pilastro della politica monetaria americana. La Fed e le altre banche centrali, inoltre, saranno molto esposte nei prossimi mesi alla proverbiale imprevedibilità del nuovo presidente, che mina la loro capacità di previsione. Se Trump userà la sua nuova autorità per imporre dazi ai livelli degli anni '30, deportare immigrati in massa e tagliare radicalmente le tasse come ha promesso, i modelli economici a disposizione delle banche centrali faranno molta fatica ad affrontare cambiamenti di questa portata, visto che i loro dati si basano su periodi di relativa calma, che non includono i contraccolpi di un regime autoritario. Malgrado ciò, il consenso degli analisti rimane ancorato alla convinzione che la riunione di dicembre porterà al terzo taglio consecutivo dei tassi d'interesse. La scorsa settimana, la banca centrale statunitense ha deciso di abbassare il suo tasso di riferimento di un quarto di punto a un nuovo intervallo target dal 4,25% al 4,75%. Ora la sfida della Fed è di riuscire a togliere il piede dai freni economici abbastanza rapidamente da impedire qualsiasi aumento significativo della disoccupazione, ma non troppo rapidamente da provocare un'altra fiammata dell'inflazione. Data la resilienza dell'economia americana, il presidente della Fed Jay Powell ha segnalato che non c'è urgenza di allentare rapidamente la politica monetaria, avvertendo invece che c'è ancora del lavoro da fare per riportare l'inflazione al target del 2% della banca centrale. "L'economia non sta inviando alcun segnale che dobbiamo affrettarci ad abbassare i tassi", ha detto Powell nel suo discorso a Dallas giovedì scorso. "La forza che stiamo attualmente vedendo nell'economia ci dà la possibilità di affrontare le nostre decisioni con prudenza". I trader scommettono su una probabilità del 60% di un altro taglio dei tassi di un quarto di punto a dicembre. "Siamo fiduciosi che con un'adeguata ricalibrazione della nostra azione, la forza dell'economia e del mercato del lavoro potrà restare costante e al tempo stesso l'inflazione scenderà in modo sostenibile al 2%", ha ribadito Powell. L'ultimo rapporto sull'indice dei prezzi al consumo pubblicato mercoledì ha sottolineato quanto sia probabile che il percorso verso il 2% della Fed continuerà a essere irregolare. Giovedì Powell ha definito l'andamento di ottobre come "un rialzo maggiore di quanto ci aspettassimo", anche se ha affermato che la tendenza generale al ribasso sarebbe "ancora intatta". Powell si aspetta che l'inflazione continui a ritirarsi, "anche se su un percorso a volte accidentato", ma la banca centrale potrebbe prendere in considerazione di rallentare ulteriormente il ritmo dei tagli se giustificato dai dati. "Se si presentassero rischi che bloccano il progresso o riaccendono l'inflazione, sarebbe opportuno sospendere i nostri tagli dei tassi di riferimento". Gli economisti hanno avvertito, nel frattempo, che le proposte economiche avanzate dal presidente eletto Donald Trump, come i dazi e le espulsioni, potrebbero far riaccendere le pressioni inflazionistiche. Alla domanda di giovedì su come questa prospettiva potrebbe influenzare le decisioni politiche della Fed, Powell ha affermato che la banca centrale sarebbe stata "restia a cambiare politica finché non avremo molte più certezze" e ha sostenuto che l'impatto delle tariffe "non è ovvio finché non vedremo le politiche effettive". Per ora, quindi, la Fed prosegue per la sua strada di tagli prudenti, ma in prospettiva la risposta diventa molto meno chiara. Tanto più che non ci si trova per la prima volta di fronte al rischio di una risposta inadeguata. Le banche centrali sono riuscite a farla franca nel 2021, quando l'inflazione è sfuggita di mano per colpa delle loro risposte tardive, ma il periodo a venire è molto più pericoloso. È probabile che Trump attacchi la Fed se cercherà di contrastare le sue politiche. E nel resto del mondo, l'opinione pubblica sarà molto meno comprensiva nei confronti delle banche centrali se perderanno il controllo dei prezzi per la seconda volta in cinque anni. Se Trump fa sul serio con le sue proposte economiche, le banche centrali si troveranno di fronte a un periodo ben più travagliato.