Un voto contrario per esprimere l’insoddisfazione del governo e preannunciare battaglia in vista del 2024. Accanto alle sfide ancora tutte aperte del nuovo Patto di stabilità e delle politiche migratorie, lo scontro sull’asse Roma-Bruxelles si consuma anche sul fronte sempre tormentato del Green Deal. E questa volta tocca la rivoluzione copernicana del packaging – dalla plastica monouso alle cialde del caffè – che in Italia, nelle parole del ministro Gilberto Pichetto Fratin, ricade su un’intera filiera industriale attiva in "molti settori produttivi". Per questo i vincoli "troppo rigidi" fissati da Bruxelles e mantenuti dai ministri dell’ambiente dei Ventisette non vanno incontro alle esigenze del Paese.
E per questo l’Italia è stata l’unica a votare contro al tavolo del Consiglio Ue in vista del negoziato vero e proprio con l’Eurocamera che potrà ora iniziare nel 2024. Dopo il via libera a fine novembre del Parlamento europeo a un testo più morbido rispetto alla proposta originaria – con alcune deroghe per il riciclo accolte con giubilo da governo (pur con la maggioranza divisa) e imprese italiane – il voto a maggioranza qualificata dei ministri Ue si è rivelato meno accomodante.
Il mantra resta lo stesso: cercare di tenere insieme riciclo e riuso. E i ministri hanno adottato la linea della Commissione, chiedendo una riduzione dei rifiuti da imballaggio del 5% entro il 2030, del 10% per il 2035 e del 15% entro il 2040. I governi dovranno creare un sistema di deposito (vuoto a rendere), fatta eccezione per quelli con un tasso di raccolta separata superiore al 78%. Restano però le restrizioni su plastica monouso per frutta e verdura, alimenti e bevande, condimenti, salse nel settore Horeca e per piccoli prodotti cosmetici e da toeletta utilizzati negli alberghi.
Un testo che, nella visione della presidenza di turno dell’Ue della Spagna, "trova un equilibrio" tra "l’ambizione della proposta di ridurre e prevenire la produzione di rifiuti di imballaggio" e più "flessibilità" per i Paesi membri nell’attuare le disposizioni. Ma a mancare per l’Italia è proprio l’equilibrio. E la valorizzazione del riciclo – settore che vede il nostro Paese ai primi posti in Europa – sacrificato a scapito della pratica del vuoto a rendere e del riuso popolare in tutto il Nord Europa, Germania in testa.
Alberto Levi